Per i tipi di Viella Editrice, il saggio storico del professore e consigliere comunale pellezzanese Andrea Marino offre un “antidoto”, una nuova prospettiva sullo scandalo che sgretolò la Prima Repubblica. “L’antidoto proposto ha voluto riflettere sull’inappagata tensione morale di una generazione che ha immaginato una palingenesi etica del Paese”
di ALFONSO MAURO
Questi, in sunta sostanza, gli interrogativi cui risponde il saggio “L’imprevedibile 1992. Tangentopoli: rivoluzione morale o conflitto di potere?”, uscito per i tipi di Viella Editrice a firma del professore Andrea Marino, docente di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Salerno, e delegato a cultura, innovazione tecnologica, viabilità, e attività produttive del Comune di Pellezzano. La chirurgica, impeccabile sollecitudine del dettato si lascia sin dalle prime pagine trascinare in una risposta triplice spoiler degli interrogativi di cui sopra; ma nondimeno la lettura è appassionante e capace di indignare anche chi per motivi biografici non può scientemente ricordare quei giorni magmatici tra Pio Albergo Trivulzio e “discesa in campo” dell’uomo “nuovo” paradossalmente favorito dall’antipolitica-antipartitica — prologo ed epilogo tra i quali lo psico-drammatico coturno è calzato anche qui in istampa da dozzine di nomi, e dall’opinione pubblica come mai prima.
E se la materia è tale da destare e rimestare furori per vicinanza cronologica e, diremmo, sentimentale, ben venga l’irreprensibile penna dello storico che ci invita a mutare prospettiva circa un “biennio rivoluzionario” non mera soluzione di una più o meno sostanziata anomalia italiana per mezzo di corale adesione etico-morale, ma anche (piuttosto?) contingente (per taluni faziosa, se non addirittura opportunistica) reazione a dati evenemenziali, che crearono e conobbero “imprenditori della crisi”, e che infatti non sortì il palingenetico risultato che le millenaristiche aspettative sembrarono adocchiare delle colonne d’elzeviro e dalle onde dei tubi catodici. Ma forse anche parlare di “popolo tradito” non appartiene alla categoria analitica in questione, quantunque anche un certo populismo possa rintracciare la sua genetica nel fenomeno giudiziario-politico-mediatico co-icastico della Repubblica Italiana.
Dopo l’altrettanto significativo volume “La Campania dei partiti. Stato centrale e poteri locali”, edito per Rubbettino (2020), Marino torna a dedicarsi alla Storia politica, a colpo sicuro affondando i gomiti nella materia viva, e con spirito non compendiale ma socio-politologico. Tant’è vero che altri interrogativi potrebbero affiorare dalla risposta ai precedenti — ed è anche questo il bello della Scienza Storica e di quando essa si sottrae al chiacchiericcio da (e circa le) tribune politiche per porsi tra Accademia e magari civismo, amica di consapevolezza e intelligenza.