Vernissage e presentazione degli eventi che animeranno la mostra “Sguardi”, sino al 4 giugno, tra talk, cinema, concerti, inviti all’ascolto e un progetto speciale sulla prima della Manon Lescaut al teatro Verdi
di OLGA CHIEFFI
“I suoni ci attirano verso ciò che sopravvive e persiste come risorsa culturale e storica, capace di resistere, turbare, interrogare e scardinare la presunta unità del presente”. Sono queste parole di Iain Chambers che ci sono venute in mente ieri mattina, rincontrandosi nelle sale di palazzo Fruscione, per il vernissage della mostra “Sguardi. Lelli e Masotti” Musiche/Kontaktof-Kontrapunkt/Nucleus, che sarà fruibile fino al 4 giugno, ospite della VII edizione del Contemporaneo, firmata da Marco Russo e Paola Cioffi. Se il sindaco Vincenzo Napoli ha portato il suo saluto cogliendo a pieno l’essenza dell’esposizione citando Walter Benjamin e “La sua piccola storia della fotografia” , con i due punti cardine e la riproducibilità o, al contrario, l’unicità dell’immagine e la questione del tempo che essa cattura, per fissarlo nell’immagine di un istante eterno, con l’insopprimibile testimonianza di una identità precisa e inaggirabile e naturalmente il Roland Barthes, di “La camera chiara” con il suo punctum, Marco Russo ha dichiarato come questa mostra nasca dagli sguardi compositi di una coppia nel lavoro e fuori, che studieremo in due lavori “a-solo” quali Nucleus di Roberto Masotti, dedicato a Franco Battiato , 16 scatti in assoluta anteprima internazionale per poi passare a Kontakthof-Kontrapunkt di Silvia Lelli che è stata la porta di accesso al mondo coreografico di Pina Baush, per poi veder riuniti i due sguardi in Musiche, ovvero ben 109 immagini e un’istallazione video, “Musiche revisited”, il tutto curato da Carlo Serra. Una mostra che spingerà a fondo nello sviluppo del turismo, ha continuato il segretario generale della Camera di Commercio Raffaele De Sio, offrendo qualche dato sugli investimenti nel mondo della cultura che ancora qui al Sud non decolla, prima della sintesi del direttore scientifico di Tempi Moderni, Alfonso Amendola, il quale ha condensato l’intero lavoro e soprattutto la vita di Silvia Lelli e Roberto Masotti, in una sola parola empatia, quella capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona, la dialettica comune, quella stessa sensibilità che si poteva “toccare” in ogni nota di Lester Young e Billie Holiday. Ha “pathito” Silvia Lelli nel montare la mostra, ma ci viene qui incontro il filosofo Aldo Masullo, il cui invito è a vivere ogni emozione, ogni momento, per salvarsi dalla solitudine e dall’isolamento, intrecciando nuovi discorsi d’amore. Le lacrime hanno rigato il viso di Silvia Lelli, parlando dell’infinito archivio che si arricchirà anche delle immagini del teatro Verdi con Daniel Oren sul podio della Manon Lescaut.
Una tale memoria è un fardello ma, pur tuttavia, non intacca in nulla la cosa che vive e che passa. Ora, le fotografie dell’archivio, gli sguardi e i volti dei soggetti in esse impressi, ci racconteranno dei loro fotografi, di obiettivi empatici, sapienti, eclettici. E’ necessario lasciare, che le immagini del passato, escano dalle loro scatole, dall’ombra, “traghettate” verso la luce, scivolando senza spingerle. La mostra è quindi vissuta della parola sapiente di Carlo Serra, tra la celeberrima immagine di Pollini e del suo pianoforte rubata dalla “scatola” in cui si sono stesi Roberto e Silvia, posta nel lampadario del teatro alla Scala di Milano, Keith Jarrett in piedi suonare, il Don Giovanni di Strehler, Lo frate ‘nnammorato di Roberto De Simone, le immagini nel tempo della coreografia di Pina Bausch, la ricerca dell’ultima vibrazione delle corde del pianoforte o lo stacco finale dell’archetto sul violino carico ancora di energia e dinamismo, Goffredo Petrassi ascoltare nel palco il suo Coro dei Morti. Non vogliamo raccontare queste foto, non possiamo. La parola non può descrivere Silvia Lelli e Roberto Masotti hanno fissato l’istante del gioco scenico che viene costruito attorno ai fantasmi di musiche e gesti musicali esistiti: il gesto mimetico, il fraseggio, il modo di porgere, il suono complessivo, funzionanti di volta in volta allo scopo. Gli artisti hanno cercato di sviluppare attraverso il loro attentissimo obiettivo, un’interazione con i musicisti, per fissare il loro personale interplay, che diventa un compatto teatro, in una identità che nasce e si sviluppa in relazione a obiettivi che a volte sono indicati dai titoli, a volte da aspetti percepibili solo dal vivo e che non possono comparire nelle registrazioni, come abiti, trucco, gesti.
Ecco allora le immagini dei due fotografi, rivelanti il mondo della musica in tutti i suoi contrasti, in cui sembra voler considerare in ogni occasione la fremente realtà vitale di un’arte che dello svanire nell’istante stesso ha fatto una regola. La musica è la guida prima dei nostri fotografi, che ha permesso loro di realizzare scatti di scena e fuori scena, e ha concesso anche l’opportunità di fargli comprendere che il loro desiderio di cacciatore d’immagini, è andato ben oltre la semplice registrazione della realtà speculare. La cosa è tutt’altro che ovvia: una certa etica fotografica sostiene che il musicista esiste realmente solo “sulla scena” e che il resto non ci riguarda. Opinione non condivisa da noi, poiché lo scatto della coppia Lelli-Masotti sa scavare per comprendere meglio il musicista, osservandolo nelle sue particolari posture, vedendolo piegarsi, raddrizzarsi, raggomitolarsi, alla ricerca di quell’elemento cinetico simbolo di un tentativo di intercettare il gesto prima che si concluda, contenente quella particolare ambiguità che è l’essenza stessa della musica. Il reale è l’impossibile in queste immagini, seguendo la voce, il tempo-interiore, il tempo-spazio, di questi musicisti, riescono a farci “vedere” ciò che non avevamo visto, che la base di un microfono si trova esattamente nel prolungamento di una luce di scena, che le corde del contrabbasso giocano alla perfezione con le righe di un abito abbandonato su di una sedia, secondo una formula che potrebbe racchiudersi in un dare testimonianza della presenza delle cose, rendendo sensibile uno spazio che le separa e che le tiene unite attraverso il fluxus della musica.
La fotografia è una finzione, ma una finzione istantanea. Più che raccontare una storia, questa rivela il momento in cui la storia avrebbe potuto accadere. Il possibile è esattamente – e necessariamente – ciò che è accaduto, contiene solamente la relativa banalità delle cose che sono successe come previsto. Il reale, al contrario, affascina grazie all’imprevisto, all’inverosimile, all’impossibile, al quale è legato, esattamente come i nostri fotografi che hanno spiato l’istante stesso in cui nasce, grazie a quel loro ostinato coraggio nel seguire e perseguire instancabilmente, unicamente la musica, con, come unico obiettivo, aleatorio, rischioso, iniziatico, l’approdo ad un reale che restituisca a noi un qualcosa di una scena segreta nella quale le emozioni si saldano al racconto.
Fotografie di Pasquale Auricchio