Il 2003 di Javier Girotto si è chiuso con la sua consacrazione nel tempio della musica romana, la Sala Santa Cecilia dell’auditorium della Capitale.
Girotto ha apposto il suo personale sigillo ad un anno che ha salutato la registrazione di tre dischi a suo nome, Colibrì in coppia con Natalio Mangalavite e l’ultimo al cui duo si è aggiunta la voce di Peppe Servillo, con in aggiunta, quello d’esordio con i Cordoba Reunion e la partecipazione a Full of life inciso con il Quartetto Pianoless di Enrico Rava, oltre il successo riscosso con le sue diverse formazioni sui massimi palcoscenici internazionali.
Il pubblico romano non ha inteso lasciare solo il suo beniamino in quella sala avveniristica, ma allo stesso tempo calda, avvolgente, cullante il suono, che con i suoi 2756 posti è stata riempita quasi per intero, in un concerto che è traguardo e origine dell’infinito viaggio sonoro di Javier Girotto.
Il primo tempo della serata, titolata da Gardel a Piazzolla, ha visto protagonisti, Javier Girotto al sax soprano e baritono, nonché in inedite vesti di conductor degli archi della Roma Sinfonietta, e il bandoneon di Daniele Di Bonaventura, elementi di uno dei tanti progetti del creativo musicista argentino, dedicato al grande Astor, “Recordando Piazzolla“.
“El penultimo“, composto da Piazzolla dopo che Bertolucci aveva affidato, a colonna sonora già ultimata, le musiche del suo “Ultimo tango a Parigi” a Gato Barbieri, una Milonga firmata da Di Bonaventura, Chiquilin de bacin di Piazzolla, l’omaggio a Carlitos Gardel con lo struggente Sus ojos se cerraron, sino a Jean y Paul di Piazzolla, in cui Daniele Di Bonaventura con il suo bandoneon, interprete privilegiato di questo genere, ha felicemente sposato l’intenzione di Javier Girotto, che ha inteso giocare sul profondo contrasto dinamico negli assieme e nei soli, in un moto tutto barocco di tensione e distensione esteso sia alla minima frase che all’intera composizione, per sottolineare quei momenti regolarmente ed emozionalmente in bilico – dato caratterizzante della musica argentina – fra un lirismo allentato e dolente, talora fino alla rarefazione, e picchi di alta drammaticità e forza penetrativa, coincidenti con le riprese degli archi, che hanno, se pur in minima parte, tradito le ragioni estetiche dettate dai due solisti. L’elemento, ancora una volta vincente, di questo primo progetto di Javier Girotto è risultato la sua propensione trasparente per un eloquio diretto, in cui la perizia strumentale è prevalsa sullo scavo concettuale e sulla transidiomicità del repertorio tematico, la forza propulsiva del sentire argentino, quella ripetizione ossessiva in progressione, di alcuni temi, vivificati dal cimento e dall’invenzione dei solisti, quasi a voler significare che il normale spettatore deve ascoltare più volte quella particolare espressione musicale, prima di poterla gustare, in quella sfida perenne tra mantice e sax, simbolo di quel popolo che si è messo in moto, in viaggio, con la sua musica, il suo credo, il mito del tango.
Poi, in cattedra è salito il suono assoluto del soprano di Javier Girotto, leader della sua formazione d’elezione, Aires Tango, con Alessandro Gwis al pianoforte, Michele Rabbia alla batteria e percussioni e Marco Siniscalco al basso, accompagnati dall’intera Roma Sinfonietta, diretta da Paolo Silvestri. Giacca di foggia cinese, braccialetto da guerriero Masai al polso, simbolo delle due tournèe in Oriente e in terra d’Africa degli Aires, Javier Girotto ha ripercorso alcune tracce di Aniversario, disco inciso per celebrare il suo undicesimo anno sul nostro suolo e l’ottavo compleanno degli Aires Tango, sulla falsa-riga delle parole di Alice nel Paese delle Meraviglie, che festeggia tutti i giorni dell’anno escluso quello del suo compleanno. In El Malòn, Historia de Markarì, Patagonia, Cartolina, il sax di Javier Girotto ha rivestito il doppio ruolo di magnifico esecutore della partitura e di improvvisatore, offrente il suo impulso immediato in infinitesima parte a-logico, creativo, operante quel contatto doppiamente fisico, istintivo, con la sua stessa opera, in un’onda senza soluzione di continuità della creazione, traversante i propri ritmi interiori, il flusso melodico con le sue vibrazioni, le sue pause, le sue inflessioni, vissute per mezzo di un suono che rende sensibile ad una concezione della natura come forza di fare, realizzazione, sommuovere, placare, patire, sopportare, amare.
Girotto che pone le note, propone la sua natura e quella della sua terra lontana: egli parla, forma, costruisce, ordina per mezzo di questa forza musicale, che, infine, scaturisce dall’ energia generante della sua anima, rappresentando il suo naturale, congenito, originale sé. Egli vuole e deve dire questo. Anche l’ascoltatore desidera sentire questo e, con ciò, se stesso. Ma Girotto non ama rubare la scena ad alcuno: in El Morocho, omaggio a Carlos Gardel, il lungo solo è del basso di Marco Siniscalco, una cavata particolare, un modo originale di sposare linee di canto e di accompagnamento, con grande ricchezza d’accenti e sonorità, in cui la forma della composizione trova la sua evidenza emotiva, e ancora l’interludio a Il senso della vita, un piccolo saggio del quartetto classico libero delle “maglie” dell’orchestra, affidato al pianoforte di Alessandro Gwis e alle percussioni di Michele Rabbia, dall’aspetto propositivo, dinamico, ma colloquiale, con moderate sfumature latine, in cui la continua invenzione poetica e fantastica hanno avuto la prevalenza. Da sottolineare la pertinenza e la discrezione degli interventi di Michele Rabbia, le cui percussioni rappresentano il segno iridescente della musica, con il suo significato implicito, ma mai convenzionalmente fissato: il suo riferimento mai esplicito e prederminato, con la sua innumerevole serie di suoni, prodotti da oggetti d’uso comune, la cui caratteristica è l’espressività, l’incanto.
Finale con l’urklang romantico di una piccola suite, Ninna Nanna e Pa-Ritango, fondata sul contrasto: forze telluriche quelle del tango che hanno quale necessaria antinomia dialettica la distensione della ninna- nanna. Applausi calorosissimi per Javier Girotto e gli Aires Tango, da parte di un pubblico entusiasta, tra il quale abbiamo riconosciuto tanti amici musicisti, tra cui Luciano Biondini e Maria Pia De Vito, premiato da una “discesa a rete” del pibe de’oro, immortalato felicemente in Maradona è meglio ‘e Pelè, che ha chiuso lietamente il concerto.