“Conversazione per musica” sugli archi di una eccellente formazione nel suo concerto di debutto. Successo annunciato dei sei archi sul palcoscenico del teatro Verdi
di ALFONSO MAURO
Quantunque possa manifestarsi caso viepiù raro carpire la fronda dorata della pressoché perfetta performance, ci sia grato conferirne la palma, gragnolata sui palmi in plauso salernitano, alla debuttante (apprendiamo dalle note di sala) formazione di strings londinesi, serratesi romantiche sull’assito del Verdi. Il fuoco della Guy Fawkes Night (5th of November) è qui quello cameristico, focolare, e raccolto per un’occasione, se non gremita, sorpresa da non esigui liceali a colorire il consueto pubblico borghese; e la chamber è per i primi strumenti di diverse formazioni orchestrali risuonante nel sestetto, riarrangiamento dal Capriccio, op.85 (1940-41, 1943), ultima opera di R. Strauss; nel celebre Quartetto per archi (1873) di G. Verdi; e nel sestetto per archi in re minore “Souvenir de Florence”, op. 70 (1890-92) di P. I. Tchaikovsky, del quale ricorre tra l’altro il 130° dalla morte tra il 5 e il 6 novembre.
Agli archi: i “Chamber Principals of London”, formazione per l’occasione composta da Sergey Levitin e Melissa Carstairs al violino, Rachel Roberts e Konstantin Boyarsky alla purtroppo un po’ defilata viola, e Kristina Blaumane e Gundula Leitner al violoncello. Per Verdi, secondo in programma, Roberts e Blaumane scendono dal ϑυμέλη.
Su tutti, per ovvio ruolo e per vis performativa, primeggiano Levitin e Blaumane fin dall’estratto straussiano a metastorico occhiello e occhiolino alla vexata quaestio del “Prima la musica e poi le parole” — Salieri docet. Bene infatti il sibaritico e salottiero fluire e refluire ora elegante ora nervoso del trialogo musicale — e con rimarchevoli momenti in cui, complice la scelta di portare avanti i violoncelli, emerge la principal cello della London Philharmonic. La performance ha fascino elegiaco e sereno, quasi distaccato, tantopiù che rilevasi giudiziosa e misurata la scelta di proporre l’andante in fa maggiore “estratto” da contesto; ma, pur giovato dalla pulita delicatezza dei Principals, Strauss esige Strauss, e undici minuti non sono stati che prolusivi. Meglio infatti al pubblico gradito, e di più calorie, l’inconsueto (per chi non lo sa) Verdi non operistico, con applausi timidi ma sinceri tra un movimento e l’altro. Il brano è anzitutto palesemente più impegnativo, e su esso si innerva meno immacolata la performance del sub-principal cello dell’orchestra della Royal Opera House, Leitner, e qualche lieve incertezza increspa la mediterranea polla virtuosistica del prestissimo e dello scherzo fuga. Ma al Verdi presso il Verdi tutto si perdona, finanche le tese orecchie del melomane… tutto tranne la funesta, onnipresente caramella scartocciata dall’azzimata e incurante signora in settima fila. Il brano è obbligante ma tutto sommato governato con lena — e di quelli che fanno rimpiangere Verdi non abbia scritto di più per camera e orchestra; e la platea ha ben inteso con accorato applauso. E la sinuosa, nerboruta apprensione verdiana della polemica tra “operisti” e “strumentisti” trapela tutta nell’esecuzione comunque limpida. Segue l’intervallo. Riassemblatosi in pieno il sestetto, è tradita una maggior familiarità col Tchaikovsky de La dama di picche, oppure giova alla pienezza rotonda e poliedrica del suono la formazione al completo.Dominano di nuovo il primo violino e il primo violoncello, e sorprendono i pizzicati; l’episodicità travolge. Sfugge effimero qualche fuori tempo nel finale dell’allegro con spirito; l’adagio si squaderna però impeccabile; zigzagano fisici, ginnici infine gli allegri, dove la concitazione si produce in corde quasi percosse — li crediamo momenti di intenzionale vezzo della Blaumane. Un fermento originalissimo tutto assorbito e riemanato dall’ensemble sapiente.
Due curtain calls impongono un “Encore?” come da Levitin interrogato al pubblico; e l’allegro vivace del Souvenir delizia nuovamente. Le soirées cameristiche sanno a loro modo edificare, dilettare, premiare l’uditorio attento, e quando reggono sulle spalle e sugli archi di musicisti di fama e di maestria è da eretici crederle appuntamenti a minore, massime quando la grandezza del fuoco sa farsi raccolta al focolare, come questa domenica tratta dal Tamigi all’Irno.