Successo di critica e pubblico per l’VIII edizione del Festival, svoltosi a Roma, nello sfarzo della Basilica di Santa Maria in Ara Coeli, con Jacopo Sipari di Pescasseroli alla testa dell’Orchestra Sinfonica Abruzzese, l’International Opera Choir, e i solisti Donata D’Annunzio Lombardi, Maria Tomassi e Armando Likaj, per l’esecuzione del Requiem di Faurè e lo Stabat del Cardinale Domenico Bartolucci, a dieci anni dalla scomparsa
di OLGA CHIEFFI
Tempo fermo per fermare il tempo, nella basilica di Santa Maria in Ara Coeli, in occasione dell’ ottava edizione del Sacrum Festival, che ha salutato il concerto romano, ospite anche della Chiesa di San Silvestro in L’Aquila. Non è stata l’Ara Coeli, un luogo scelto esclusivamente per la sua bellezza dal direttore organizzativo di questo evento, complesso per le sue ragioni estetiche e logistiche, Luca Ciccimarra: è questa l’Ara del Figlio di Dio, che guarda al Cielo, ma è anche lo spazio da dove Cola di Rienzo arringava il popolo e in cui è stato laureato poeta Francesco Petrarca, questo il luogo da cui si è voluto far partire “Una preghiera in musica per la pace universale”. Un segnale forte dal mondo delle arti e della musica è stato lanciato da Roma, attraverso due gemme assolute della letteratura musicale sacra, scelte dal direttore artistico di Sacrum, Jacopo Sipari di Pescasseroli, il Requiem Op.48 per soli, organo e orchestra di Gabriel Faurè e lo Stabat Mater del Cardinale Domenico Bartolucci, eseguito in occasione dell’anno celebrativo del decennale della scomparsa, affidatogli dalla fondazione nata a suo nome.
Una linea programmatica e direttoriale di profonda sobrietà e purezza nel rispetto della pagina, il Maestro Jacopo Sipari ha inteso dettare dal podio, alla testa dell’ Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, dell’International Opera Choir, preparato ottimamente dal Maestro Giovanni Mirabile e dei solisti, il soprano Donata D’Annunzio Lombardi e il baritono Armando Likaj protagonisti del Requiem e il soprano Maria Tomassi interprete dello Stabat. Sicuramente una lotta per la chiarezza del pensiero musicale è risultata l’essenza del brano inaugurale, con le pagine di Faurè che, partendo dal baricentro della composizione, l’Agnus Dei, accompagnate passo passo dal placido fluire del coro, spaziano dal fermo messaggio del Sanctus dove la dossologia che gli angeli innalzavano al Sabaoth – il Dio degli eserciti, ma anche del Kosmos, ossia dell’Universo inteso come ordine – si avvale con discrezione della tromba solo per ravvivare verso la fine, un estatico momento corale, sino al Pie Jesu affidato alla voce di Donata D’Annunzio Lombardi, che ha affrontato con lunare astrattezza, nel perlaceo sgranarsi di una linea di canto superba, condotta con straordinaria musicalità, mentre nell’ Hostias et preces tibi dalla linea lirica di intensa espressività, su un curioso movimento scivolato degli archi e nel Lìbera me, dal carattere è un po’ cupo, implorante, è stata la voce baritonale di Armando Likaj ad interpetrare la prima pagina, nella sua suprema calma, in afflato al tono intimo dell’intero Offertorio, quindi, nel rendere perfettamente l’intenzione del Libera me, tra le più inquietanti e memorabili mai inventate, conferendo temibile autorevolezza a quella melodia, mantenuta in un intervallo di quinta, non immemore di certa retorica barocca.
Jacopo Sipari è riuscito a comunicare quell’impressione che deve lasciare il coro, soprattutto quando entra in pianissimo sulla parola “Tremens”, ancora di sorprendente dolcezza, in progressione con il respiro che diventa più drammatico nel “Dies illa”, in un fremito passeggero che il recupero del “Libera me”, nel clima iniziale finisce per annullare.
Tempi dilatatissimi per l’intero Requiem, ad ogni finale, con corone infinite, quasi un’invocazione al silenzio, a quel tempo fermo, come scrivevamo, per fermare questo tempo di guerra, un nodo gordiano che alla fine può e deve essere tagliato per risolversi in “qualcosa di semplice, di così infinitamente e straordinariamente semplice”(Bergson), in quello spirito di finezza che sintonizzandosi con la grazia vivente del reale stesso, ogni volta ha da intuire, senza incertezze, quale sia il gesto giusto, l’azione che possa riaffermare positivamente la vita delle cose. La seconda parte della serata è stata dedicata all’esecuzione dello Stabat Mater del Cardinale Domenico Bartolucci, sicuramente uno dei vertici della sua indefessa attività compositiva nel ruolo di Kapelmeister perpetuo della Sistina, pagine che rivelano una soavità e una ricchezza melodica, su di una finezza e varietà di strumentazione, tali da imporsi immediatamente all’attenzione al primo ascolto. L’interpretazione di Jacopo Sipari ha portato attraverso il gioco, pressoché perfetto di fusione di voci ed ensemble, a “rendere chiaro” il discorso narrativo, evitando qualsiasi monotonia di un disegno architettonico di affatto semplice tessitura, percorso sia da accenti più nervosi, drammatici e solenni, che di impalpabili filigrane, per esprimere tutto il pianto del mondo, ai piedi della Croce.
Tempi cercati e centrati, senza eccessivi abbandoni qui, per il direttore, il quale ha avuto gioco empatico con la voce di Maria Tomassi, rivelante una spontaneità eccezionale, che cela un controllo tecnico e un magistero espressivo di prim’ordine. Tutto è stato dipanato con grande nettezza e con taglio certamente più drammatico di Faurè, fino all’esplosione finale, attraverso la ricerca di un suono cangiante e con la massima attenzione agli impasti timbrici (qui basilari i legni in particolare il corno inglese, il flauto, l’oboe e il magnifico clarinetto basso dell’Isa), a sottolineare una modernità che si fonda su precise radici strutturali e su di un pensiero di coerente saldezza formale e costruttiva. Una griglia, quella di Bartolucci, ben valorizzata da tutti gli interpreti in campo, in cui hanno assunto importanza decisiva l’essenza del suono in quanto tale, come proiezione immediata dell’esperienza e l’articolazione spaziale, ricercata in ogni battuta dal direttore, il quale vi ha associato un senso emozionale e vitale del momento e del gesto esecutivo. Applausi scrocianti e standing ovation per orchestra, solisti e direttore da parte di una platea entusiasta, composta da oltre ottocento anime.
Fotografie di Nicola Cerzosimo