Oggi si festeggia la fine dell’anno agrario legata al sole e all’atto di carità del vescovo di Tour. Celebrare con appuntamenti festosi l’alternarsi delle stagioni è come se si mettesse in collegamento l’andatura dell’anno con il ritmo del cosmo e con quello di ognuno di noi. Sarà festa nella cantina del Maestro Gerardo Avossa Sapere per la spillatura del primo vino, ove si riunirà un vero e proprio cenacolo di artisti
di OLGA CHIEFFI
Oggi si ricorda San Martino, uno dei primi santi non martiri della Chiesa Cattolica. Nato intorno al 317 d.C, Martino rivestiva la carica di “circitor” in Gallia quando visse l’esperienza che avrebbe cambiato per sempre la sua vita, consegnandolo alla storia, alla leggenda e alla santità. Si narra, infatti, che, in una giornata d’autunno, il cavaliere in groppa ad un cavallo bianco, vestito da centurione, con in mano il gladio, una piccola spada a doppio taglio con la lama larga e molto appuntita, uscendo dalle porte della città francese di Amiens e accorgendosi di un povero vecchio quasi nudo e infreddolito, senza pensarci due volte, tagliò il suo caldo mantello di lana, donandogliene una metà. Durante la notte gli apparve in sogno Gesù mentre raccontava agli angeli del soldato Martino che lo aveva riparato con la sua cappa. Al suo risveglio, colto da stupore, ritrovò non solo il mantello integro ma, al posto di freddo e neve, il caldo sole di una tanto magnifica quanto prodigiosa estate, quella che riviviamo ogni anno a novembre. Dopo la mistica esperienza, si convertì, fu battezzato e, dopo vent’anni di carriera militare, divenne Vescovo di Tours dove, acclamato dai suoi cittadini, proseguì umilmente, e fino alla morte, la sua opera pastorale. Il suo mantello miracoloso divenne reliquia e fu conservata dai Re Merovingi. Da allora venne definito cappellano chi conservava il mantello corto, detto appunto “cappella”.
“A San Martino ogni mosto è vino”. Questo proverbio ci ricorda che oggi il mosto, che ha finito di fermentare, può essere “spillato” e, infatti, in tutta Italia San Martino fa rima con festa del vino, che viene “battezzato”, essendo novello, durante allegri banchetti a base di carne, castagne arrosto e frutti di stagione, festeggiamento della fine dell’anno agrario, con la raccolta degli ultimi frutti e l’ultimo banchetto prima del Natale, riscaldato dal tiepido sole che prelude ai giorni più corti, bui e rigidi dell’anno Celebrare con appuntamenti festosi l’alternarsi delle stagioni è come se si mettesse in collegamento l’andatura dell’anno con il ritmo del cosmo e con quello di ognuno di noi. Oggi, infatti, nell’ antico Trappeto Avossa Sapere attuerà questo proverbio e questa tradizione. Padrini della festa che godrà della presenza di musici, artisti e poeti saranno il Maestro Espedito De Marino, l’Avvocato Romeo Cagossi, il Maestro Carmine Viscido, il poeta Sabatino Casaburi, ospiti a sorpresa, e soprattutto lui, il principe dei principi Dioniso, protettore di strumenti a fiati e a percussione. Menù a cura chef Elio Genovese secondo la tradizione antica, sulla collina piu alta di Giovi per sposare il color rubino di questo vino la cui etichetta recita: “È tra le colline di Giovi che si ottiene questo vino dal color rubino e dal gusto amabile, piacevole e seducente. Il vigneto che in passato è stato curato al meglio da mastro Felice e mamma Rosa, continua a germogliare con notevole premura e dedizione.”
San Martino è anche il protettore degli uomini ammogliati, dei fidanzati e degli uomini traditi dalle proprie donne. Spesso ci si domanda perché San Martino abbia conquiso un simile patronato. A questa domanda non si sa rispondere. Ed ecco venirci in aiuto la credenza popolare. Il racconto dice che San Martino avesse una sorella molto bella, ma incapace di filare dritto, cosa che provocava grande dolore al fratello. Questi, per salvarla dal peccato, pensò di tenerla lontano dalle tentazioni e, per essere sicuro, se la caricava a “coscia cavallo”, cioè, seduta sulle spalle, e così la portava in giro. Purtroppo, anche la sorella di San Martino, di tanto in tanto aveva bisogno di starsene al riparo per cose personali. Per tale ragione chiese al fratello di farla scendere e di farla appartare dietro una siepe. Il Santo aderì alla richiesta, ma prima di far occultare la sorella, si volle sincerare che dietro la siepe non ci fosse qualcuno. Infatti, lanciò alcune pietre tra i cespugli e qualche uccello volò via spaventato. Questo fatto dette al Santo la certezza che la sorella potesse mettersi al riparo. Fu un vero e proprio inganno, una trappola ben congegnata. Dietro la siepe, un bel giovane che aspettava la ragazza, aveva liberato alcuni uccelli, carpendo la buona fede del Santo. Quando la sorella ritornò sulle spalle del fratello, questi disse:” Sora mia! Come pesano e peccate!”. Da questa leggenda, la tradizione della nostra tavola ove a San Martino non deve mancare mai una bottiglia di vino novello e i famosi torroncini. Gli uomini devono portare alle loro donne queste squisitezze: un impasto di pasta di mandorle, a forma di piccoli parallelepipedi, ricoperti di naspro o di glassa di vario colore o di cioccolato fondente. Si sa che il mandorlo, per il fatto di essere il primo fiore a sbocciare, anche in febbraio, spesso viene sorpreso dal freddo e gela. Sicchè è il simbolo dell’imprudenza. Con il regalo del torroncino, gli uomini ricordano alle loro donne di essere prudenti. Ma essendo il mandorlo anche il primo fiore della primavera, è considerato il simbolo della continuazione della vita, dell’eternità, per cui il torroncino, vuole essere l’augurio di amore eterno fra i due innamorati.