A trent’anni dalla scomparsa, oggi nel giorno di Santa Cecilia, a noi l’impegno di ricordare le diverse tappe di una vita durissima, la scelta del sassofono, la voglia di affermarsi, la seconda guerra mondiale, l’abnegazione e l’estrema convinzione nelle grandissime potenzialità del suo giovane strumento, sino allo storico traguardo del riconoscimento dell’insegnamento del sassofono in Italia, raggiunto solo nel 1959. Nel mezzo di questa storia un’ Italia che usciva disastrata dalla guerra, ma che voleva ricostruire fortemente la propria dignità.
di OLGA CHIEFFI
La scuola italiana di saxophono è nata qui a Salerno grazie ad un impavido e coraggioso giovane musicista cilentano, dallo sguardo antico, racchiudente la fierezza e la pienezza del suo mare, Francesco Florio. Francesco Florio nasce a S. Maria di Castellabate il 6 marzo del 1917. Dai nove anni sino alla maggiore età, fu ospite dell’Orfanotrofio Umberto I, il temutissimo “Serraglio”, che vantava una tra le massime Scuole di Musica italiane, fondata nel 1819 da Ferdinando IV di Borbone. Poiché questa scuola svolgeva un’intensa attività artistica sul territorio, sia come complesso bandistico che orchestrale, ad ogni studente veniva richiesta una doppia competenza esecutiva, una relativa agli strumenti a corde, un’altra per quelli a fiato. Francesco Florio fu destinato così dall’allora direttore della Scuola Vincenzo Grandino, a seguire i corsi della classe di violino del M° Mario Pagano e a quella di oboe tenuta M° Mario Laureatano. Al raggiungimento del compimento inferiore di oboe gli venne assegnato, poi, anche il ruolo di primo oboe della banda. A quel tempo, l’aspirazione di ogni fiatista era l’inserimento in una banda militare. Purtroppo, l’oboe non era considerato “prima parte” in questi organici e ciò non gli avrebbe consentito di far carriera. Pensò bene di passare al saxofono, in particolare al tenore, iscrivendosi nel 1933 nella classe di clarinetto del carismatico M° Ciro Fiorillo (in quegli anni l’insegnamento del sax era annesso alla cattedra di clarinetto). Fu lo stesso maestro a consegnare al giovane Florio un sax rudimentale, fornito tra l’altro ancora del doppio portavoce, dando così vita alla sua carriera sassofonistica. L’impostazione dell’epoca prevedeva l’imboccatura con l’impiego del labbro superiore sul bocchino La sua prima intuizione tecnica, sul modello francese, fu quella di apporre gli incisivi sul dorso del bocchino e il labbro inferiore piegato al di sotto dell’ancia. Dopo appena una settimana era già primo sax tenore della banda dell’Istituto. I due anni seguenti di studio intenso, svolti per la maggior parte sui metodi per clarinetto ed oboe, lo portarono a vincere il posto di 1° sassofono tenore della Banda Presidiaria di Firenze diretta dal M° Arturo Rodriguez . Un riconoscimento ben più importante, però, lo aspettava: Arturo Rodriguez, sull’onda d’eco delle sue performances gli affidò nel 1937 il ruolo di maestro concertatore della sezione ance, ed in seguito di vice-maestro. Sempre pronto a dimostrare le sue qualità e a mettersi in gioco, partecipò nel 1939 al concorso indetto dalla banda Presidiaria di Trieste. Pur vincendo, dopo una combattutissima sfida a suon di passi e studi con il quotato saxofonista Nassisi, dopo sei mesi di prova non venne riconfermato. Indietro non si torna ed ecco il bando di concorso per bassotuba nella Fanfara della G.I.L. ed eseguire il celebre passo della Gazza Ladra che gli regala il posto. E’ il 1940 e l’Italia entra in guerra. Richiamato alle armi, parte per la Campagna in Africa Settentrionale e in Albania guadagnò, tra l’altro, innalzamento di grado sul campo e la Croce al Merito di Guerra per atti eroici al comando di una colonna di autocarri. Fatto prigioniero dalle truppe tedesche, il 10 settembre del 1943, venne deportato in Germania, chiuso in un campo di prigionia e salvo grazie al suo talento musicale, al quale, fortunatamente, le camicie brune non furono indifferenti, rientrando in patria, tra mille peripezie, solo alla fine del conflitto nel 1946.
Francesco Florio non possiede più neanche lo strumento per riprendere a studiare, ma un suo amico, il trombettista Luigi Francavilla, a sua volta prigioniero dell’esercito alleato, avendo in animo di allestire una formazione da ballo, gli regala un sax alto. Francavilla, di stanza alla ballroom “Tersicore” – l’ ex teatro San Genesio – aveva sapientemente sottratto diverse partiture dell’orchestrina jazz del reggimento, particolare importante perché, proprio avvicinando la musica afro-americana, Franco Florio scopre con sorpresa che diversa notazione è scritta ben al di sopra dell’estensione consueta , suoni “fuori registro”, che i saxofonisti americani erano in grado di produrre. Inizia, così, lo studio e lo sviluppo della tecnica dei bis-acuti, che lo porterà a redigere tavole e studi con le posizioni relative da lui sperimentate, unitamente a quei glissando incredibili, nello stile di Johnny Hodges, l’inavvicinabile solista dell’orchestra di Duke Ellington