Da stasera alle 21 sino alla pomeridiana di domenica il cadetto di Guascogna, animerà il palcoscenico del Teatro Verdi, in una rilettura che ci immergerà in un teatro-canzone che accomunerà Domenico Modugno, Carmelo Bene e le varie rivisitazioni cinematografiche
di OLGA CHIEFFI
Venite pure avanti poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati, buffoni che campate di versi senza forza, avrete soldi e gloria ma non avete scorza; godetevi il successo, godete finché dura, ché il pubblico è ammaestrato, e non vi fa paura…” E’ qui il Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand, che balzando sul palcoscenico affronta un’intera folla contrariata a causa dell’interruzione dello spettacolo compiuta dal protagonista per la scandalosa recitazione dell’attore principale. Scena di cui dal 15 febbraio a domenica sarà protagonista sul palcoscenico del teatro Verdi, Arturo Cirillo. Di Cyrano, etichettato come genio solitario e incompreso, si tramanda ancor oggi la memoria di un corpo deturpato da due maschie protuberanze: il naso pinocchiesco e la spada più temuta di Francia. Vì è naso e naso, però, e, in materia di rinologia, un distinguo si rende necessario tra le intenzioni attribuibili a Collodi e quelle che sono proprie di Rostand.
Infatti, se nel testo collodiano v’è un implicito invito alla diffidenza nei confronti delle parole subdole e ingannatrici, come quelle della volpe e del gatto, e un conseguente richiamo all’interpretazione dei silenziosi segni del corpo, estranei al gioco dell’ipocrisia, al contrario negli stessi anni in cui, tra specchi e ritratti, la letteratura decadente celebra il patto diabolico dell’uomo moderno con la propria immagine, Cyrano de Bergerac è il malinconico canto, con cui la fallace parvenza dei segni viene esaltata. Cyrano entra in scena dapprima in forma di sequenza puramente vocale, come un suono senza corpo, come una voce che difende a spada tratta, è il caso di dire, la causa del “fine parlare”; una parola di cui, l’eroe di Rostand, tra una stoccata di spada e una in punta di lingua, sacrifica tutta la vita, sino al punto di augurarsi di morire “una sera sotto un cielo rosato e speciale, / trovando parole ispirate per un buon ideale!”.
Ma alla bellezza della parola si contrappone per contrasto, la bruttezza deforme del naso. Di qui, più in generale, la tensione tra gli estremi entro cui si delinea la personalità di Cyrano, lo stereotipo manicheo che lo definisce e lo scinde in poli contrapposti: da un lato il coraggio dell’eroe “senza macchia e senza paura”, dall’altro una suscettibilità, a volte, addirittura comica; da un lato l’adesione appassionata a un amore infelice, dall’altro la dedizione a un legame d’amicizia virile; da un lato, ancora, la fedeltà al corpo militare, dall’altro la continua, intransigente opposizione al potere. Ma i versi sono fedeli all’opera originale, e Cirillo li contamina a cominciare dal musical di Domenico Modugno (1979), dai Cyrano cinematografici di un tempo da quello di Carmelo Bene al San Carlo di Napoli degli anni Ottanta, dai lazzi riecheggianti Ettore Petrolini e Gigi Proietti. Con lui un affiatato e ottimo cast composto da Rosario Giglio, Francesco Petruzzelli, Valentina Picello, Giulia Trippetta, Giacomo Vigentini.
“Andare con il ricordo ad un musical da me visto da ragazzino a Napoli, nell’ancora esistente Teatro Politeama, è stato il primo moto di questo nostro nuovo spettacolo. Il musical in questione era il “Cyrano” tratto dalla celeberrima commedia di Rostand, a sua volta ispirata ad un personaggio storicamente vissuto, coetaneo del mio amato Molière”. Teatro Canzone, quindi e teatro nel teatro, in questo coloratissimo spettacolo con le musiche originali e le rielaborazioni di Federico Odling che vanno da Èdith Piaf a Fiorenzo Carpi, con le scene di Dario Gessati, che ha inventato una pedana circolare girevole, sulle tracce del varietà, gli sfarzosi costumi di Gianluca Falaschi, le luci di Paolo Manti. Una fantastica pagina di letteratura trasformata da Cirillo in uno scintillante varietà fatto di paillettes e belle canzoni, un teatro-canzone che nulla toglie alla tragicità dell’amore non corrisposto, alle ferite di guerra e dell’anima. Momenti patetici e insieme pittoreschi, ambientazioni vivaci, un’ispirazione dumasiana guascona e le scene di teatro nel teatro ne fanno un autentico capolavoro che non smette mai di emozionare e commuovere. Venerdì, invece, alle 19 l’incontro con l’amato volto televisivo in “Giù la maschera!” condotto nel foyer del massimo cittadino dal giornalista Peppe Iannicelli, ospite della stagione di prosa del Verdi.