Lunedì 19 febbraio, alle ore 19, nella galleria Cerzosimo di Via da Procida in Salerno, i Corps Mimétiques di Nathalie Figliolia, diverranno oggetto di dialogo tra l’autrice, Luigi Moio, Erminia Pellecchia e Cristina Tafuri
di OLGA CHIEFFI
Dopo l’inaugurazione della mostra di Nathalie Figliolia che ha di fatto inaugurato la nuova edizione dei “Dialoghi sulla Fotografia”, una rassegna in quattro appuntamenti mensili, che gode del patrocinio morale che gode del patrocinio morale dei comuni di Salerno e Bellizzi e del C.N.A Confederazione Nazionale, dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, ideata e realizzata da Armando Cerzosimo, in sinergia con i suoi due figli Pietro e Nicola, in essere, sino al 29 febbraio nella Galleria di Via Giovanni da Procida, lunedì 19 febbraio, alle ore 19, si svolgerà il primo Dialogo sulla Fotografia. In studio, si analizzerà il lavoro di Nathalie Figliolia, con Luigi Moio, cattedratico presso l’Accademia Albertina di belle Arti di Torino di Tecniche Performative per le Arti visive e installazioni multimediali, il critico d’arte Cristina Tafuri e la giornalista Erminia Pellecchia.
Il compositore John Cage parlava di “response-ability”. In assenza di istruzioni, diventa più complicato reagire alla cultura, ma la ricompensa è molto più ricca. Sebbene possa esserci qualcosa di assolutamente unico in qualunque fotografia, la nostra cultura visuale è definita di numeri. E’ raro che le fotografie vengano scattate per essere viste da sole. Serie, sequenze, saggi fotografici, tipologie, progetti, album, archivi, cartelline, feed, la fotografia è quasi inimmaginabile al di fuori di un insieme. Gli artisti producono progetti o corpus e con le parole del fotografo tedesco August Sander: “Una foto riuscita è solo un primo passo per l’uso intelligente della fotografia. La fotografia è come un mosaico, diventa una sintesi solo quando viene presentato en masse”. “Corps Mimétiques – au delà de la peau di Nathalie Figliolia comprende una serie di 25 fotografie a colori realizzate e sviluppate personalmente in laboratorio tra il 2005 e il 2006 a Parigi. Tutto nasce da una installazione luminosa un cilindro su cui i corpi dei fruitori, andavano a creare l’ombra ad imprimersi in essa a renderla viva e vivente e di qui l’idea da fissare in fotografia. Sovrapponendo sotto l’ingranditore più negativi, l’impressione sulla carta fotografica resta un’azione unica dando origine ad un pezzo unico ed irripetibile in quanto non esiste negativo corrispondente all’immagine impressa. Nella realizzazione dello scatto, attraverso l’uso dell’immagine proiettata su di un vero corpo si tenta di costruire o decostruire la profondità di un “Luogo” trasformando lo spazio e conferendogli una realtà propria. Il corpo diventa allora luogo di sperimentazione e manipolazione. Inghiottito dal dispositivo, immerso in una camera oscura e sollecitato dalle immagini proiettate, si trasforma in “schermo a sensazioni” ed incarna le caratteristiche del fenomeno luminoso. Da qui il titolo della mostra: Corpi mimetici dove il corpo assume le caratteristiche che la luce gli conferisce spogliandosi delle sue forme e vestendosi di un altro spazio. La pelle funge da frontiera tra il dentro ed il fuori di sé, incarna nuovi segni tentando di eliminare quel limite di chiusura all’interno del proprio corpo alleggerendolo.
Se la pelle non è che una superficie, essa rappresenta anche la profondità figurata di sé ed incarna l’interiorità. Tanti gli spunti, per questo format aperto a tutti, a partire dalla tecnica di queste immagini nate dalla carta che reagisce “negativamente” alla luce, perciò più luce riceve, più scuri sono i segni di quando viene licenziata. Ogni immagine ha il fascino di un’ apparente leggibilità e facilità. In realtà, regala letture e suggestioni diverse, segni di una personalità complessa e non facilmente conoscibile. Tracce che rinviano ad altro e, forse, più che indicazioni per la lettura dell’opera, sono epifanie di una personalità intrigante e particolare. Potremmo definirle quasi storie in cornice poiché Nathalie vi riesce a far convivere, desiderio di sogno, memorie, contemporaneità del sentimento, in una apparente leggerezza celebrandovi tra l’altro l’infelicità di un mondo ucciso dal suo frenetico correre verso un nulla che porta ad una volontaria reclusione dell’io. L’identità del tema del “corpo” con quello della “materia” e della “sonorità” dei toni, della capacità dei segni di scrivere senza descrivere è la malleabile identità stessa, del colore-luce con lo spazio contenuto-generatore della narrazione: è il connaturarsi del colore-luce al corpo-materia, alla sua plasticità decorativa e alla sua decoratività plastica. Le sue figure sono apparizioni che emergono nello spazio delle attese e del buio delle cose e ne rompono l’equilibrio fissando l’evento e il racconto. Le figure non hanno necessità d’essere destrutturate: l’energia è solo e tutta interna e non può giungere alla forzatura, alla deformazione, alla caricatura; questo spazio specifico è la condizione formale di quella stabilità figurale, di quella distribuzione della materia dei pieni e dei vuoti.
Nell’espressione, la figurazione si carica dei valori mnestici, delle relazioni e delle allusioni con cui l’immaginazione va alla scoperta dell’anima delle cose, diventa elemento di supporto, carattere portante della composizione, non prodotto secondario di questa. È la figura attraverso l’espressione che si proietta nella costruzione di questa specifica mimesi, d’un mondo che guarda all’intimo della realtà, a ciò che sta dentro ed oltre di essa, ad un “racconto” che si sviluppa lungo i sentieri del mondo delle ombre della realtà comunicando infinite emozioni.