Continuano all’Opera Nazionale di Tirana le celebrazioni del Centenario pucciniano con l’opera più “giovane” di Giacomo Puccini. In scena dall’11 al 20 aprile ben tre cast con direttori Jacopo Sipari di Pescasseroli e Nicolò Suppa, per la regia di Ada Gurra
di OLGA CHIEFFI
La Bohème che ritornerà dall’ 11 al 20 aprile sul palcoscenico dell’ Opera Nazionale di Tirana,sarà scevra da ogni orpello incrostatosi nelle infinite riletture ed esecuzioni, in tutto il mondo, sarà una Bohème introspettiva, letta attraverso l’angolatura psicologica dei personaggi. Fame e freddo sono i protagonisti assoluti di quest’opera, come leggiamo nella biografia di Giacomo Puccini firmata da Michele Girardi.
I protagonisti sono giovani, quattro uomini e due donne, ma non c’è speranza, “lo sgelo” non viene, la solitudine li attanaglia dall’inizio alla fine”. L’ambientazione di quest’opera è ottima, sia all’interno della soffitta degli artisti e intellettuali, sia fuori, nella Parigi del Quartiere Latino. Ma forse non è Parigi, forse ricalca più una Milano, quella, però, dei paesaggi urbani di Mario Sironi, quelli della Milano vissuta da Puccini. Le “cartoline” tradizionali di Utrillo, facevano evadere il compositore da quella città sorda e chiusa di sironiana memoria, che denuncia con barbarica brutalità l’ “assenza del mito”, la morte di ogni idealità, di ogni illusione. Questa veduta urbana, desolata e implacabile, è la metafora esplicita di una condizione sociale, della solitudine che ne impronta l’essenza figurale permeante ab imo anche i protagonisti di questo spazio mentale. Questa trasposizione allusiva verso l’assolutezza mentale, porta al recupero di una classicità austera e atemporale quale topos ideale di una razionalità arcana, conquistata per superiore determinazione morale. “Chi sono” si domandava il Puccini ancora studente, “Chi sono” si domanda Rodolfo: “L’artista moderno ha tutto il diritto di essere un “rivoluzionario”, di “deformare”, di essere “stravagante” e canta il nostro poeta, in “Che gelida manina”, per poi rispettivamente rientrare nella “segregazione dell’arte della vita” e nella dissolvenza della giovinezza e di pur disponibilità sentimentale, in quella della morte. Orchestra tardoromantica, ma scevra di ogni effetto caratteristico, quella che ci proporrà il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, il quale punterà la sua bacchetta sugli accordi vuoti e ribattuti con arcaica insistenza stravinskiana, sulle melopee gregoriane, sulla timbrica e dinamica evanescente di imitazione orientale. L’allestimento firmato da Ada Gurra non si libererà dalle minute didascalie di cui è intessuta l’intera partitura e catturerà sia gli aspetti umoristici che quelli tragici dell’opera, mentre la scenografia di Renold Sula, in particolare nell’Atto II, daranno vita alla Parigi del XIX secolo con i suoi abbaglianti negozi e caffè. La musica è tra le più belle di Puccini, con momenti salienti tra cui le arie e il duetto d’amore, ma la scelta degli strumenti voluta da Puccini, guidata da criteri cameristici, che strizzano l’occhio a Schubert, lasciano, comunque circolare quel fascio di melodie a schema libero che, ora per la stringata e multicolore scrittura a mosaico, ora per lo sbocco slanciato, si spingeranno avanti con naturalezza e spontaneità. Verrà sottolineato, in particolare, l’assunzione, da parte di Puccini, dell’accordo a dato strutturale, cosa già di per sé curiosa, nell’ambito di un linguaggio operistico che aveva sinora usato dell’accordo come strumento e mai come nesso caratterizzante del discorso. Basterà rammentare la successione di terze e quinte parallele, affidata alle trombe nelle diciotto battute introduttive all’atto II, laddove gli accordi non hanno più valore funzionale, ma si svolgono come lungo una fascia, a mo’ di scia armonica. Il cast è composto da eccellenze, a cominciare dalla voce di Eva Golemi, che inaugurerà la triade di Mimì, che vedrà nelle successive repliche, che il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, lascerà dirigere al suo assistente Nicolò Jacopo Suppa, alternarsi Marina Medici e Nina Muho, affiancata da Amadi Lagha nel ruolo di Rodolfo e Renisa Laçka che sarà Musetta, mentre Solen Alla, sarà Schaunard, Genc Vozca darà voce a Benoit ed Erion Sheri, invece, Alcindoro. Nelle altre repliche, invece troveremo Klodjan Kaçani e Nico Franchini nel ruolo di Rodolfo, Artur Vera in quello di Marcello e Dorina Selimaj in quello di Musetta. La costruzione musicale di Bohème, con le sue accuratissime interruzioni di continuità, tali da suggerire la perdita di fiducia quasi totale nella cosiddetta grande arcata, sarà ben evidenziata da Jacopo Sipari di Pescasseroli, il quale rilegge quest’opera attraverso cui è stato iniziato da bambino alla lirica dai suoi genitori e anche alla direzione, essendo stata Bohème la prima partitura pucciniana affidatagli, alla guida dell’Orchestra del Tkob e dei cori preparati da Dritan Lumshi e Sonila Baboçi.
Bohème è il prodotto di un perfetto equilibrio fra ispirazione e realizzazione. Il testo di Illica e Giacosa è limpido e conciso senza una sbavatura, senza una lungaggine, senza una mancanza. Tutto è equilibrato, la vicenda, i personaggi, gli atti, le scene, l’intervento delle masse, il costume mentale dei protagonisti. Tutto si muove logicamente e necessariamente verso quel muro nudo della Barriera d’ Enfer: a questo punto, è il freddo dell’inverno, a calare in platea insieme al richiamo degli spazzini e delle lattivendole, la nebbia si spande e satura qualsiasi varco alla speranza, forse intravista in precedenza. La vita è asciugata dal pizzicato degli archi, ma appena l’invenzione allarga a rosa la melodia e lo strumentale, all’ingresso di Mimì, il gelo mostra di aver stampato sui volti, sulle carni, il color mortis. Ci accorgeremo, allora “…con triste meraviglia/ com’è tutta la vita e il suo travaglio/in questo seguitare una muraglia/ che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”.