Semiserio eno-musicale, ascolto e degustazione tra la neonata rassegna della AthenaMuse e il vino della divina costa. La vince il violino di Pasquale Picone, mentre il premio Paganini Florin Paul non disdegna di sedersi nella fila dei primi violini
di ALFONSO MAURO
I “lieti calici che la bellezza infiora” di primule musicali salernitane, dell’Orchestra della Scuola Italiana d’Archi, e dell’ “arco-star” Florin Paul, domenica sera presso la Chiesa del SS.Crocifisso, sono quelli salernitani parimenti dello sponsor vitivinicolo Le Vigne di Raito, della famiglia Malanga, che quivi per un tralcio di manica tiriamo, più noi stessi che quelle convincendo, e mordendo all’esca del ditirambo e della verace manna del pampino, tanto quanto ai deliziosi petali del vespro domenicale concertante. Tale è d’altronde l’euforia a diporto negli appuntamenti mondani musicali d’intrecciare l’amistà al diletto, che ci si proverebbe nel semiserio e sinestetico fronzolo di avviticchiare l’ascolto dei brani di prima di primule alla libagione bacchica raitese qui calzante il coturno mecenatico. Sfidiamo l’ironico nume affinché s’imporporino d’armonico l’incredulità e la pazienza del lettore sobrio e più tollerante vegnente nosco al gaio imo di quanto l’elzeviro digitale, tolto alla cogenza seriosa del cartaceo, permette capzioso.
Henryk Wieniawski, Polonaise Brillante (o de Concert), Op.4 in re maggiore, nella sua versione per violino e orchestra (e per l’occasione riarrangiata con orchestra d’archi), solista un emozionato Andrea Colella, e quella freschezza cui bene ondivaga il rosato IGT Campania “Vitamenia” 2022. Fraseggio piuttosto pulito nella beltà melodica e nel virtuosismo tecnico, salvo che in qualche precipitata angustia cui pur s’emenda per orecchiabilità del brano anzitutto, ingegnoso e concettoso ma non schematico. Il brio della polonaise ha riscontro nel gradevole, “croccante” fruttato citrico e minerale del secco rosato della balza dolomitico-calcarea di Costa; ma la facilità è pensosa e verticalizza in una versatilità forte di grado alcolico. Se Colella sforza un poco, magari nelle corde doppie o in qualche imperticato acuto, peccando in intonazione, in sua lode la scelta del non semplice brano in schiusa di serata e plauso di pubblico. Il repertorio del virtuosismo che si rispetti non può fare a meno d’un pezzo già abbozzato da un Wieniawski appena tredicenne, e che riesce grato anche dove non giunga l’esecuzione.
Sempre mutuando la dilettevole premura del nostro registro dal mondo enoico, azzarderemmo il vezzo di sentenziare men “piacione” il Maurice Ravel della Tzigane, rapsodia da concerto — ma di maggiore peso specifico compositivo ed esecutivo con un pressoché impeccabile Pasquale Picone che la vince al violino solo, ed uno “speziato” che addomestica e assimila l’esotico all’interno del colto Occidente. Il più maturo del programma, un altro brano dichiaratamente virtuosistico ma divestito degli immediati frizzi e lazzi, e in due sezioni d’originale oreficeria musicale. L’orchestra d’archi sovrasta meno il solista che in Wieniawski, e l’equilibrio tra le due parti è ricondotto a rotunditas. In abbinamento, scelgasi il rosso DOC Costa d’Amalfi “Ragis” 2016, la gioventù del quale principia a cedere la cadenza all’invenzione timbrico-sinuosa del blend Aglianico-Piedirosso, e il tannino, bene integrato nella struttura, si ricompone morbido ai salottieri sentori terziari e a un quid di selvaggio, di terrigno. Le posizioni acute, i tremolii, gli arpeggi, i funambolismi quasi impressionistici sono governati con diligenza da Picone; e la suadente cadenza iniziale è come un sorso di gran rosso che per identità ed età promette. Eccellenti i passaggi di testimone solista-orchestra; la chiusa vieppiù emoziona l’ecclesia in un lungo applauso.
Variazione da programma! Non la Ciaccona in sol minore di Antonio Vitali, ma la Fantasia da concerto sulla Carmen, Op.25 di Pablo de Sarasate, quivi riarrangiata per archi; solista un nervoso Mattia Pagliani — spia già forse la decisione (che presumiamo lungamente meditata con i maestri Joao Carlos Parreira Chueire e suo padre Stefano Pagliani) di mutar brano. L’auditorio ha immediatamente riconosciuto il più “piacione” Bizet operistico — ed è nella fuga incontro all’andirivieni del Mercato che quivi giustapporremmo il rosso DOC Costa d’Amalfi “Ragis” 2019, in variazione rispetto a li maggiori sui vinificato per metà in acciaio e per metà in botte: per più pervasive note fruttate (secca e candita) e una gravitas alcolemica che maggiormente degli altri l’impingua; se in complessità si è perso, ciò credasi a giovamento dell’immediatezza e per una facilità di beva cesellata in note di cacao. Pagliani è molto impegnato e tanto gli va con sincero plauso riconosciuto, massime nella tensione enervata; ma affievoliscesi un po’ la gioia che ci attenderemmo da una fantasia spagnoleggiante tutta moderata eufonia e squisitezza tecnica. Ma il dialogo coi presenti è per suggestione operistica più serrato che per Ravel. L’attesa per Florin Paul ferveva, e il pluripremiato maestrul violonist rumeno non ha deluso — ha anzi sorpreso piacere suscitatoci scorgerlo sin da inizio vespro assiso in orchestra, accompagnante i solisti anch’esso. Un classicino di misurata eleganza: il Mendelssohn Bartholdy del Concerto per violino e orchestra d’archi in re minore (da non confondersi col celeberrimo Concerto per violino e orchestra op. 64) eseguito però con la compiuta maestria del talento cui null’altra lode occorre se non quella del plauso copioso. In sinestesia, il rosso IGT Campania “Ragis” 2013 che nulla invidia a certi blasonati Taurasi per corpo e struttura, e cui i terziari a piena maturazione eloquiano nel medesimo registro del romantico tedesco prima maniera (illo tempore tredicenne) e precocissima nel disegno estroverso e affettuoso, di sensibilissime intuizioni tutte dettate perfette da Paul. Gli equilibri, le simmetrie, la solidità della costruzione formale reminiscono bene un Aglianico giustamente invecchiato, un’annata da memorare. In encore, un delicatissimo Gluck: violino ed arpa dalla Danza degli spiriti beati in Orfeo ed Euridice.
In fondo di calice di questa lunga captatio benevolentiae baccantis, impreziosita dalle primule evocate anche nella scena realizzata da GFDecor, una suggestione così gratuita da adagiarsi sorniona sulle partiture: non può essere un caso, ci piaccia concettare, che l’archetto appartenga al gergo del musico quanto a quello del sommelier. Prosit!