La XVI stagione concertistica dell’Orchestra Filarmonica Campana ha ospitato l’ Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese che ha incantato il pubblico della Chiesa di San Giorgio in Salerno con il suo Mozart dalla caleidoscopica ricerca timbrica. Ben eseguito anche l’AmadèRondò di Roberto Molinelli, in stile patchwork
Allegro ma non troppo. Quando, come è sempre più avvezza intendere, l’Hippocratica Civitas offre a prognosi la plurifioritura di numerosi eventi contemporanei, e tali i casi nel weekend tardonovembrino, il proverbiale imbarazzo della scelta rischia tramutarsi in annose, vessate riflessioni circa una gestione programmatica e promozionale che ponga maggiore arsi dove occorre. Ciò accennato, evento rimarchevole — il concerto presso la Chiesa di S. Giorgio di giovedì scorso: per il terzo appuntamento della XVI stagione concertistica dell’Orchestra Filarmonica Campana, si è ascoltata l’eccellente Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese (ISA), con primi inter pares Ettore Pellegrino, direttore artistico Konzertmeister e violino solista, che ha imbracciato un Ettore Goffredo Cappa 1683 costruito in Saluzzo e Silvia Mazzon, violino e viola solista, la quale ha riportato a respirare aria di casa il suo splendido strumento napoletano, Giuseppe Gagliano del 1770, mentre la “voce umana” era della cremonese Alessandra Pedota del 2012 – ma restiamo in attesa di ascoltare anche il suo Bernard Neumann un violino del 2007 – con la formazione aquilana tagliante il nastro delle cinquanta stagioni incipiando a Salerno una tournée nazionale da nord a sud che continuerà a Ferrazzano, Matera, Lanciano, Reggio Emilia, L’Aquila e Tortoreto. Un gemellaggio tra le due formazioni per questa “glauca notte rutilante d’oro” mozartiano: Concertone (di nome e di fatto esecutivo) per due violini e orchestra in Do maggiore K 190, Sinfonia concertante per violino, viola e orchestra in Mi bemolle maggiore K 364, e la prima esecuzione assoluta del pastiche-variazioni “AmadèRondò” del direttore d’orchestra, compositore e violista Roberto Molinelli. Al divertissement metamusicale e metateatrale del maestro Molinelli (commissionatogli dalla stessa ISA) la lusinga di molinare la sorpresa, lo sconcerto sornione, il sardonico mettre en abyme, la freddura, quando non proprio il coup de théâtre; con gioviale esuberanza, una sorta di variazione dal celeberrimo Rondò alla turca (terzo movimento della Sonata per pianoforte n.11) è esasperatamente, ironicamente, virtuosisticamente, compiaciutamente disturbata da quelli che felicemente sono stati definiti “Spaß invaders” (dove gli “space invaders” di videoludica memoria si fanno musicali “invasori spassosi”) — earworms, interpolazioni, incursioni, brani e brandelli ciclicamente posti in tralice al mozzo di ruota dell’arguta, sapiente e ridanciana lavatrice che risciacqua nel Contemporaneo i panni salisburghesi. “Eine kleine Nachtmusik”; il Molto allegro dalla Sinfonia n.40; l’Ouverture, “Der Vogelfänger bin ich ja”, “Der Hölle Rache”, “Pa-pa-pa-pa”, e “Die Stralen der Sonne” dal Flauto Magico sovvertono, sterzano l’esecuzione del Rondò, e cedono anzi il passo a discole scorrerie dei fiati (sempre loro!) in, tanto per farne citazione, “Guarda che luna” di Buscaglione o “Cuore matto” di Little Tony — con la viola a disciplinarli, alzandosi e recitando parte nella parte, per il movimentato, insolito gusto del pubblico. Gradevole e mozartissima trovata, per chi conosce non solo le inclinazioni e il personaggio del genio salisburghese, ma anche quell’Ein musikalischer Spaß (K 522) non troppo da questo spiritoso esercizio di stile distante nello spirito, pure a innegabile netto delle informate opinioni di chi invece gradisca dissentire. Meglio per questo secondo-ma-non-secondo ascoltatore, dunque, il ritorno nell’alveo del buon consueto, con i due brani mozartiani cui va riconosciuta la palma del nitore, della perfezione esecutiva pressoché totale e cui solo ha nociuto qualche microfono lasciato acceso alla cui non voluta amplificazione dei fiati è in qualche punto trasalito l’ascolto. Degno di lodevole, non scontata nota l’aver brandito sia violino che viole di Silvia Mazzon, in brillante, elegante dialogo con Ettore Pellegrino anche direttore; precisi i sinfonici abruzzesi, in ottimo poliloquio con le parti solistiche di non ampia scrittura individuale, e in una logica cameristica haydniana cui ha però ragguardevolmente giovato l’acustica dello scrigno barocco salernitano di S. Giorgio. E tanto basti a dirsi, per un ascolto eccellente goduto dai convenuti. Altrettanto bene l’ormai inveterantesi uso delle note di sala digitali, scaricabili con qr code. Questo, sì, allegro — un programma monografico mozartiano, massime quando intenda proporre a pubblici potenzialmente variegati brani che non proprio occupano le più popolari vette di repertorio, ha da prestare precipua attenzione alla tensione verso la maestria assoluta dell’esecuzione — ed è a noi parso il concerto abbia considerevolmente soddisfatto e le melomani aspettative e l’opinion critica e la curiosità per l’inedito, tutto in caloroso plauso e due curtain calls finali.
La XVI stagione concertistica dell’Orchestra