Bruno Canino e Antonio Ballista, Vittorio Bresciani e Francesco Nicolosi, Katia e Marielle Labeque, questi i celebrati piano-duo che si sono alternati, in oltre cinque decenni, sul palcoscenico, a getto sul mare, del Festival di Ravello. La formazione a quattro mani è uno strumento educativo eccezionale, sebbene non più considerato quanto lo era in passato: suonare con un partner significa innanzitutto imparare a calibrare il fraseggio in modo non solipsistico ma comunicativo, e i grandi duo sono spesso nati nelle aule dei conservatori. Sabato 11 luglio 2009, sulla terrazza di Villa Rufolo è stato vissuto l’evento jazz dell’intera stagione: Chick Corea e Stefano Bollani, il caposcuola e il futuro di questo genere, due generazioni a confronto, hanno avuto il “coraggio”, per restare in tema con il fil-rouge della 57° edizione del festival, di sedersi alle tastiere dei due gran coda per sfidarsi e incontrarsi, “fare le prove”, dinanzi al pubblico. I due avevano dichiarato in diverse interviste che non avevano approntato una scaletta vera e propria, ma si sarebbero incontrati su temi estemporanei. Ispirazione, logica e soprattutto tanta consapevole volontà di suonare insieme, queste certamente le aspettative di un pubblico che si è ritrovato dinanzi ad un’esibizione a tratti virtuosistica, a tratti “à la Bollani” che, per l’occasione si è trattenuto dall’infarcire i suoi interventi solistici delle abituali innumerevoli citazioni tratte dal suo bagaglio di esperienze musicali. Si sa che Bollani è il latore di un nuovo sincretismo caratterizzato dal superamento dei confini di genere e delle consuetudini accademiche. La sua è una creatività “in progress” che copre uno spettro ampio e variegato, di grande impatto e altamente comunicativo.
Di fronte, un Chick Corea molto controllato, travestito quasi da “accompagnatore” del pianista toscano, ci ha consentito di apprezzare il suo attaccamento alla tradizione, come pure un jazz sofisticato ed elegante o, più spesso, teso e vibrante. Sempre sostenuto da un tocco molto presente e definito – di sostanza e corpo – con progressioni melodiche e ritmiche spezzate, sostenute da una raffinata ricerca armonica dalle radici classiche, baricentro di un leader, dalla tastiera rigogliosa e agile, che manifesta di avere una cultura che va ben oltre il jazz, manifestando una tendenza alquanto rara nel panorama musicale in genere, spesso chiuso per generi e classificazioni.
I due musicisti si sono incontrati su standards celeberrimi, quali “On Green Dolphin Street“, “Stella By Starlight“, un omaggio a Bill Evans con “Someday My Prince Will Come” e al Thelonious di “Blue Monk“. L’uditorio aspettava lo show di Bollani ed ecco intervenire i fuochi, per inaugurare un brillante sparring four, eccessivamente teatrale, ma stregando una platea estasiata e plaudente.
Un’esibizione, questa, che ci ha fatto ricordare l’estetica cageana, ovvero il superamento di qualunque divorzio e distanza tra l’arte e la vita, la pratica dell’impossibile, tentando modelli sperimentabili di nuove relazioni degli uomini con le cose. Il Tom Jobim di Desafinado e il giusto tributo ad un’indispensabile Duke Ellington, hanno chiuso il concerto, impreziosito da un “Take The A Train“, sicura base di lancio per proiettare i due pianisti verso sempre più spericolate avventure sonore.