A trent’anni dalla scomparsa del fondatore della Scuola Italiana di sassofono. Il maestro, tra l’altro Croce al merito di guerra per atti eroici nella seconda guerra mondiale, internato in campo di prigionia in Hannover, citato da studiosi francesi e italiani, non ha targa o aula che lo commemori nell’attuale conservatorio “G.Martucci”
di OLGA CHIEFFI
“Il Maestro Francesco Florio, insegnante di Sassofono presso il Liceo Musicale Martucci di Salerno (attualmente in corso di costituzione in Sezione staccata del Conservatorio di Napoli) è meritevole di particolare segnalazione ed interesse, poiché questo insegnamento è l’unico riconosciuto negli Istituti Governativi Italiani. La classe del M° Florio fu ispezionata dal sottoscritto Jacopo Napoli nel 1959 per incarico del Ministero della Pubblica Istruzione”. E’ questo l’atto di nascita della prima cattedra di sassofono d’Italia, in tempi in cui i direttori di conservatorio, che erano pochi, scrivevano i propri nomi nei volumi di storia della musica, fu conquistata con tutta la forza d’Amore – quel figlio di Pòros e Penìa, povero, coraggioso, impulsivo, veemente, appassionato pensatore, capace di trovare soluzioni brillanti per cavarsela, passa tutto il suo tempo ad amare la sapienza; brillante incantatore – con un “daimon”, mai sotterrato, quello di Francesco Florio, nei confronti della ricerca musicale, del suo strumento, attraverso quell’inclinazione istintiva appartenente all’uomo come un’orma nell’anima, spentosi, ma ereditato dai suoi allievi, da quanti abbiano avuto la fortuna di conoscerlo, trent’anni fa. Cosa è cambiato dai tempi del Maestro Francesco Florio, quando per essere citato in un volume o dalla stampa dovevi aver “fatto” veramente qualcosa? E’ cambiato il “tempo”. Ce lo racconta Saverio La Ruina dal palcoscenico, il nostro è un tempo “liquido”, lo avvertiamo dalle pagine di riviste e giornali che accolgono di tutto, anche la più flebile delle “arie”, oramai, vi viene inserita, esiste una benemerenza per ogni infinitesima azione e per tutti, grandi e piccini, titoli ad honorem, ricevimenti in aule consiliari, riconoscimenti, petizioni popolari per intitolazione di strade e piazze per azioni comuni, in osanna di personaggi che hanno compiuto solo il proprio dovere. Chi è allora il M° Francesco Florio? Qui desideriamo rispondere con una frase del Maestro Enzo Filippetti, docente di Sassofono al Conservatorio di Musica “S. Cecilia” di Roma, componente del quartetto di sax Accademia, “E’ il papà di noi tutti, docenti e sassofonisti”, e fa parte di quei Maestri che ti segnano una vita che vale la pena essere vissuta. Ad oggi Francesco Florio, esponente di una tra le massime Scuole di Musica italiane, fondata nel 1819 da Ferdinando IV di Borbone, creatore della didattica italiana del sassofono, di concerto con i maestri francesi di questo strumento, nonché nella Campagna in Africa Settentrionale e in Albania, Croce al Merito di Guerra per atti eroici al comando di una colonna di autocarri; prigioniero delle truppe tedesche, il 10 settembre del 1943, deportato in Germania, chiuso in un campo di prigionia in Hannover e salvo solo grazie al suo talento musicale, al quale, fortunatamente, le camicie brune non furono indifferenti, rientrato in patria, tra mille peripezie, solo alla fine del conflitto nel 1946, non ha un’aula, una targa, un qualcosa che lo ricordi nel Conservatorio “G.Martucci” che, con la sua opera, ha pur contribuito a costituire. Ci si andò vicino lo scorso anno, quando l’indimenticato Fulvio Maffia decise di celebrare il quarantennale dell’istituzione, purtroppo saltato con la pandemia, con l’intitolazione della sala concerti a Francesco Florio. La lista degli assegnatari di aule, targhe, angoli, tra varie ricerche, requisiti e titoli di assegnazione, evocazioni ed invocazioni, si allungò, e tra esclusi e inclusi, cognomi storici e alberi geneaologici, dai lunghi e infestanti rami, si raggiunse un numero ben fuori dell’ordinario, e per la salvaguardia degli equilibri interni e del buon governo, non se ne fece nulla. Chi ama l’arte, ama il rischio e la sfida, rompe gli equilibri e brama tentare l’impossibile, per una causa, per un principio, in difesa della verità, per essere d’esempio alle future generazioni. “L’arte è automodificazione. Noi cambieremo in modo meraviglioso se accetteremo le incertezze del cambiamento e questo condizionerà qualsiasi attività di progettazione. Questo è un valore. L’arte, così concepita, è la forma piena della capacità di mettersi in giuoco, e a rischio” (John Cage).