A pranzo con Mr.Varenne. Al Grottino di Sacrofano, incontro informale con il driver del “Capitano”, leggenda del trotto mondiale
di GIULIA IANNONE
Raramente vado a pranzo fuori, e per una volta che aderisco all’ idea, in occasione della visita di due amici, ci rechiamo nel posto giusto al momento giusto. Lunedì scorso, al ristorante” Il Grottino”, nel centro storico di Sacrofano, incontriamo, seduto al tavolo accanto, un volto più che noto per l’ippica mondiale: Giampaolo Minnucci, lo storico driver di Varenne. Fermato e riconosciuto, il driver romano ha aderito con gioia al dialogo, alle domande, al ricordo, alle confidenze, su Varenne e la sua epopea, con la sua metà umana.
Che bella conversazione che ne è scaturita. Siamo partiti da quel famoso “chip”nell’articolazione del nodello anteriore, che aveva indotto molto possibili acquirenti a non comprare il figlio di Waikiki Beach, per non correre il pericolo di vedere sfumare un poderoso budget per un minuscolo frammento osseo, che invece, è rimasto sempre lì, in quel nodello, anche dopo ben 73 corse disputate e ben 62 vinte. Quel pezzettino osseo sicuramente era stato messo in quel punto preciso, perché la dea bendata aveva deciso l’incontro tra Enzo Giordano, il futuro proprietario, Giampaolo Minnucci, il driver, Jori Turja l’allenatore finlandese e Lina Rastas, la groom bionda anche ella finlandese, che aveva lasciato l’università nel suo paese, per seguire l’ astro nascente dell’ ippica.
Un rischio iniziale valutato e gestito perfettamente da un team preparatissimo, un continuo susseguirsi di vicende che sono ben allineate, come scritte dagli astri, affinché proprio quel cavallo e non un altro, cambiasse la storia di tante persone e non solo quella di tre persone coraggiose, che avevano visto e sentito un cavallo correre come il vento, ma che nella prima corsa, non tenne la curva e ruppe al galoppo… un motore , una luce, una forza, una energia mai vista prima, ancora da creare ed assettare. Tutto di nuovo da fare, tutto da capo, set up completo per bilanciare il cavallo “arrivato dal cielo, come una tempesta, lui non può rimontare perché è sempre in testa, perché al posto del cuore monta un turbo speciale” canta Enzo Jannacci, nella canzone scritta e dedicata proprio al campione a quattro gambe, alto 1.66 , che fa sognare di nuovo l’Italia dell’ippica, l’Italia che vince e che sogna.
In questa conversazione, nella sala del ristorante ormai vuota, perché a furia di parlare siamo giunti a limite della chiusura, senza accorgercene, si è come materializzato a tavola con noi, non solo Enzo Giordano, il quale è apparso inaspettatamente sul telefono del suo driver d’elezione, ma anche Varenne, oggi ventottenne, impegnato nella sua attività di riproduttore. Ma per chi come noi, nonostante si dedichi all’equitazione e non all’ippica, figli della terra del Sud a contatto col trotto napoletano, dire Varenne è dire sognare e lottare per la vittoria battendo ogni record, in ogni pista, in ogni terra, contro ogni bandiera, battere rivali grandissimi come il famoso Viking Kronos e Moni Maker, via, messi dietro, con quel svettare di criniera: grande slam del trotto, e la Breeders Crown in America ed il famoso per noi del Sud, Gran Premio Lotteria di Agnano per tre anni consecutivi.
Un mito che non si esaurisce nel tempo, anche se sono passati circa 21 anni, perché tutti ci ricordiamo le città tappezzate dai famosi slogan sul baio, fratello del vento, maestro del tuono. Vedi l’ altra metà umana del cavallo, che sale sul sulky, ed in realtà lo colleghi al campione mito, come una volta in Italia dicevi Coppi e subito pensavi alla mitica bicicletta Bianchi, dicevi Ferrari e subito pensavi a Schumacher, dici Varenne e pensi a Minnucci, con le mani legato ad un bolide in carne ossa e zoccoli, tutto cuore, sentimento e generosità. Una storia italiana cui dedicare davvero un bel film, l’America lo avrebbe fatto da tempo, come per Seabiscuit, Secretariat o The Dreamer. L’Italia di Tornese, detto il sauro volante risale agli anni ’60. Lui disputò 229 corse e 133 vinte, ma è voce concreta che Varenne sia più grande: il sogno, il mito, il ricordo vivo, e la leggenda che vince, un team invisibile che si doveva incontrare e formare ed una magica storia scritta a lettere cubitali da una dea bendata che donava le mentine col buco, come se fossero corone d’alloro, al “Capitano” delle piste mondiali. Minnucci nel raccontarsi si è illuminato nel volto e gli occhi brillavano, come se avesse corso di nuovo, ancora una volta, col suo amico Varenne. Un altro incontro fatato, inanellato dal destino. Grazie Varenne, tres bien.