Dissolto il ciclone provocato dall’arresto di Jan Latham Koenig, lo storico festival Pucciniano, che celebra il suo LXX cartellone in contemporanea con il centenario della scomparsa del cigno di Lucca, si è affidato al direttore abruzzese per il gala d’apertura negli Emirati Arabi
di OLGA CHIEFFI
“Un tal baccano in chiesa”, così esordisce Scarpia, apparendo in Sant’Andrea della Valle e un ciclone ha provocato, nel mondo musicale, l’arresto da parte di Scotland Yard per l’accusa di presunti reati sessuali su minori, del direttore Jan Latham-Koenig, bacchetta internazionale inglese, in odore di direzione artistica dello storico festival Pucciniano, che celebra il suo LXX cartellone, in contemporanea con il centenario della scomparsa del cigno di Lucca. Bacchetta pucciniana, nonché sinfonica, è stata infatti alla testa più volte delle massime orchestre del Regno Unito, la Royal Philharmonic e la London, Latham-Koenig avrebbe dovuto dirigere l’orchestra del festival Pucciano al gala organizzato il prossimo 31 gennaio ad Abu Dhabi, su iniziativa dell’istituto italiano di cultura, e in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia negli Emirati Arabi Uniti e Abu Dhabi Festival, proprio per celebrare il centesimo anniversario della morte di Giacomo Puccini, nonché altre diverse opere del nostro compositore, sia al Festival, che in giro per il mondo. E’ notizia di ieri che il gala, che vedrà eseguire le arie più amate del compositore, da Valeria Sepe, soprano napoletano e dal tenore Francesco Meli, una delle voci più apprezzate al mondo, che abbiamo applaudito Don Carlo, alla prima scaligera, vedrà sul podio il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, formatosi proprio sul palco del Festival pucciniano, e che gode di piena fiducia sia del direttore artistico, il novantatreenne Pier Luigi Pizzi, nonché del Direttore generale Franco Moretti. Nel mondo del teatro, delle arti tutte si crede nella fortuna, e così è stato anche per il maestro abruzzese, che dalla Gewandhaus di Lipsia, si ritroverà intorno alle ore 20, del 31 gennaio, a salire sul podio dell’orchestra del festival pucciniano nell’Emirates Palace, per dirigere un programma che spazierà dal Preludio sinfonico in La maggiore (SC 32) , prova finale per il passaggio d’anno nella classe di composizione di Antonio Bazzini, all’immancabile bis del Nessun Dorma!. Aria di sortita del soprano sarà l’aria di Lauretta dal Gianni Schicchi, “O mio babbino caro”, quindi, l’opera della svolta, “La Fanciulla del West con Meli che darà voce a Ramerrez che prima di morire, dichiarando di essere stato «ladro, ma assassino mai», rivolge un saluto a Minnie, chiedendo ai minatori di risparmiare alla ragazza il dolore della sua morte in “Ch’ella mi creda libero e lontano”. L’orchestra si muoverà in punta di piedi entro un dramma fatto di sottili perfidie e di malinconia, sfoggiando una grande varietà di tenui impasti timbrici e dinamiche soffuse, nell’Intermezzo di Suor Angelica, certamente non lontano dalla Madama Butterfly, evocata dalla sua aria principe del secondo atto, “Un bel dì vedremo” un’interminabile via Crucis, dai mutati e più sordi colori d’orchestra, percorsa in un’attesa spasmodica a denti stretti, il viso alzato al sorriso, tra ansie, languori dubbiosi e soffocanti, esaltazioni superbe, e quell’ ingenuo bamboleggiare, che sa già di morte e incrollabile speranza, fino all’annullamento. L’orchestra eseguirà, quindi la famosa Tregenda dal secondo atto de’ “Le Villi”, pagina figlia del suo tempo, ossia di autori cari alla Scapigliatura. Parente povera, invero, della “cavalcata delle valchirie” del grottesco di Berlioz del demoniaco di Weber e degli scherzi fantastici di Mendelssohn con un “retrogusto” di Carmen. Francesco Meli, sarà, quindi, Roberto, per “Torna ai felici dì” incarnante la mestizia toscana di Puccini, racchiusa nel suono dello scorato del corno inglese. Si passerà, quindi a Manon, con il celebre Intermezzo, con il suo ripieno armonico discretissimo fatto ora di violoncelli col loro moto cromatico e alla seconda e terza viola, le inquiete fluttuazioni, l’ambientazione armonica in settime che non risolvono, che non “possono” risolvere mai, è un bel sentire wagneriano, anzi tristaniano, sicuramente un “esperimento operistico” dei tanti portati avanti da un Puccini che non ha ancora ben individuato un proprio percorso artistico ed estetico, seguito da “Donna non vidi mai”, per tutto l’arco della quale Des Grieux, che ha appena conosciuto Manon, non fa che richiamare alla memoria le parole di lei (“Manon Lescaut mi chiamo”) e la musica del precedente duetto. Ed eccoci a la Bohéme, è il primo quadro, la Sepe coglierà il suo bacio d’aprile, otto battute di inenarrabile emozione e Rodolfo corteggerà la sua soave fanciulla, prima di ritornare al Capriccio sinfonico in fa maggiore, SC 55, nel quale riconosceremo il tema iniziale della Bohème, come anche la musica del funerale nel terzo atto dell’Edgar, e dedicare l’intero finale a Tosca, padrona assoluta, amante focosa ed imperiosa che non esita a smaniare in chiesa esibendosi in una violenta scena di gelosia, la stessa creatura che, come una pia fanciulla, s’inginocchia devotamente dinanzi alla Vergine e le offre dei fiori, è la stessa artista che si umilia come una donnicciola qualsiasi quando si prosterna disperata ai piedi dell’aguzzino, implorando pietà per il suo uomo, è la stessa creatura che, brandisce un coltellaccio da cucina e trucida selvaggiamente il boia che la vuole sua in cambio della salvezza dell’amante, è Tosca il deus ex machina dell’azione e lascia il partner sempre nell’ombra, con il pittore Cavaradossi, al quale darà voce Francesco Meli, attaccato alla vita e al piacere con ingenuità poetica, quel signor tenore, che canterà “E lucevan le stelle”.