Ottimo concorso di pubblico al vernissage della mostra “Nature morte e mitologia” allestita nel foyer del Teatro delle arti di Salerno. Esiste un chiaro legame visivo tra queste opere e quelle dedicate alla mitologia, al punto che il loro accostamento nella stessa esposizione permette di cogliere fra i due temi un rapporto di complementarità.
di ARISTIDE FIORE
L’inaugurazione della mostra “Nature morte e mitologia”, allestita nel foyer del Teatro delle arti di Salerno, fruibile negli orari d’apertura del teatro, fino al 2 marzo, è stata l’occasione per accogliere il Maestro Damiano Durante, in arte Kosma, ristabilitosi in città dopo un lungo soggiorno negli Stati Uniti. Alla presenza del patron del teatro, Claudio Tortora, del direttore Artistico Antonio Perotti e dei numerosi visitatori intervenuti, il critico d’arte, Alfonso Di Muro ha fornito una sintesi delle proprie considerazioni sull’opera dell’artista salernitano, che il visitatore potrà apprezzare in forma estesa nella brochure dedicata alla mostra. Autodefinitosi pittore realista/simbolista, secondo Di Muro Durante indubbiamente rispetta in pieno tale collocazione nell’ambito delle arti figurative, in quanto “nella sua pittura si manifesta quell’unità tra soggetto e oggetto di cui si parla anche in tanta filosofia contemporanea, laddove i nostri occhi portano alla luce l’esperienza del proprio Essere nell’unità fra sé e le cose del mondo”.
Capita a proposito l’avvertenza del critico, il quale mette in guardia dalla tentazione di interpretare queste opere come semplici sfoggi di bravura, fermandosi così a ciò che potrebbe caratterizzare una prima impressione. Le nature morte sono connotate da un senso di mistero, sospensione, atemporalità. Sembrerebbe un invito alla meditazione, al superamento di un’esperienza sensoriale che diviene punto di partenza per giungere a una visione più chiara dell’essenza delle cose e della propria presenza in rapporto ad esse. Esiste un chiaro legame visivo tra queste opere e quelle dedicate alla mitologia, al punto che il loro accostamento nella stessa esposizione permette di cogliere fra i due temi un rapporto di complementarità. Le nature morte comprendono anche particolari anatomici, sia di persone reali sia di statue, i quali si ripropongono nella rappresentazione di divinità o personalità collocabili nel mondo del mito, indipendentemente dalla loro appartenenza alla cultura greco-romana o giudaico-cristiana, secondo un criterio legittimamente laico, oggettivo. Cosicché alle divinità pagane si aggiungono Adamo ed Eva, i cui torsi sono caratterizzati da recipienti di vetro in diverse posizioni abbinati a un fiore, che ne nascondono parzialmente il sesso, accentuando la dimensione archetipica dei due progenitori. Di tutte queste figure è nascosto il volto, fatta eccezione semmai per quello di Eris, la discordia, che tuttavia appare separatamente, su uno scudo bronzeo e potrebbe benissimo ritenersi, nella finzione della scena, una rappresentazione ideale della dea, anziché quella del suo aspetto.
In fin dei conti, tutti questi personaggi potrebbero considerarsi come figure simboliche per eccellenza, dunque ciò che conta sono i loro attributi disposti nella composizione, come i calzari alati di Ermes, colto, come già avveniva nell’antichità, in un momento di quiete e dunque anche di trasgressione, vista la sua funzione di messaggero degli dèi; oppure l’orologio di Kronos, particolare anacronistico ma attualizzante, che proprio insieme allo stesso gioco di membra incrociate in atteggiamento di riposo meditativo che caratterizza Ermes ricompare in una delle nature morte, accentuando ulteriormente l’accordo tra i due filoni cui si è accennato poc’anzi. È dunque chiaro che la poetica di Durante funziona indipendentemente dalla scelta del tema, così come ci si aspetterebbe da un artista consapevole dei propri mezzi e della propria poetica. Allo spettatore tocca lasciarsi accompagnare in questo elegante gioco di rimandi, che sembra concentrarsi in un unico quadro, quello dedicato a Medusa, con la studiata e ben concertata alternanza di riflessi e ombre che ricompone, sia pure in parte, l’immagine di colei della quale non si potrebbe sostenere lo sguardo.
Il calice di vino che solleva, sormontato da un cardellino, sembra rimandare al vino che un attempato, rassicurante Bacco sprofondato in un divano, sembra aver appena consumato, restituendo di sé un’immagine bonaria, complice anche la scelta, antitetica rispetto al resto, di una figura intera, che, a sua volta, sembra fare da contraltare a “Elisir”, la visione più inquietante di questa selezione, nella quale una sorta di spettro sovrasta un misterioso calice. Tutto questo e molto altro è Kosma, che nel triplice autoritratto dell’ “Ecce homo” si rivela, mettendosi metaforicamente a nudo e quasi autocontemplandosi.