Nel giorno della Memoria Pasquale Sorrentino e Franco Maldonato hanno ospitato tre delegazioni del Liceo Artistico Sabatini-Menna a Palazzo Sant’ Agostino, per la mostra del Decalogo della Democrazia il cui finissage è stato spostato al 6 febbraio
di OLGA CHIEFFI
Il 27 gennaio, il giorno della Memoria, il liceo artistico “Sabatini -Menna” guidato dal dirigente Renata Florimonte, ha inviato tre delegazioni, circa una sessantina di studenti, accompagnati dai docenti Mirella Monaco, Concetta Gisolfi, Mara Magione, Laura De Simone e Mirella Tammelleo, a visitare la mostra in essere a Palazzo Sant’Agostino, fruibile sino al 6 febbraio, dedicata a Josè Garcia Ortega, del quale sono in mostra le dieci litografie del celeberrimo “Decalogo della Democrazia”.
Ad accogliere gli studenti, lo stesso Presidente della Provincia di Salerno, Franco Alfieri, Pasquale Sorrentino consigliere delegato al Turismo , nonché vicesindaco del Comune di San Giovanni a Piro, dove scelse di vivere esule Ortega, nonché Franco Maldonato, direttore del Polo Museale di Sandella perla cilentana. L’opera, è stata illustrata in un preludio alla visita proprio da Franco Maldonato che ha analizzato uno per uno quei dieci manifesti, nei quali sono rappresentati, con il surrealismo consueto alla pittura di Ortega, i valori caratteristici della democrazia, che viene dall’artista concepita come l’unico regime politico che possa salvaguardare le conquiste dell’umanità. I temi sono illustrati e ben evidenziati attraverso una didascalia, a cominciare dalla negazione della dittatura, l’invito costante a perseguire la propria libertà di pensiero e azione, l’unità, l’amnistia permanente, il chiaro no alla guerra, l’esaltazione della democrazia, il dialogo e la comunicazione, senza barriere. E’ questo un tentativo di avvicinare i giovani ad una concezione d’arte, che riversi sopra il vissuto quotidiano, nell’azione sociale, forme simboliche ma reali, fornendo modelli sperimentabili di nuove relazioni con gli uomini e le cose. Non si può negare la chiarezza assoluta del principio che regola ad ogni passo il progetto artistico di Ortega, l’intera struttura sociale deve cambiare, se la poetica, le ragioni estetiche o il segno, sotto cui nasce l’opera è un progetto sperimentalmente esemplificato e agito.
Circola di Josè Garcia Ortega un’immagine di artista eversivo e caustico. In realtà, al di sotto della superficie di un tratto magistrale come pochi, liberatorio fino all’eccessiva facilità, così abile fino alla condiscendenza, attraverso queste opere, si riconosce perfettamente il segno di una inquietitudine innocente, di una ricerca di un’espressione dolente, anche nella sua “cattiveria”, quindi lirica, di una liricità, non monocorde o monostilistica. Ritroviamo nelle opere la stessa felicità e disinvoltura con la quale lo stile di Ortega passa dal vagheggiamento di un Picasso, di cui è stato allievo, del periodo blu a quello di un Groz, da un tessuto pittorico di linee “aderenti al vero”, alle più estrose deformazioni alla Steinberg, lasciando intendere un impegno di intelligenza e, soprattutto, di cuore. Pittore pudico, nonostante l’apparenza, sfida l’osservatore ad andare oltre il graffio del segno, alla scoperta di uno spessore più profondo, che ha, forse, radici nella visione irridente ma, al tempo stesso pensosa di una cultura fatta di tenzoni, ma anche di meraviglie, un intellettuale non indifferente e incapace di compiacimento, che ebbe la quasi inedita qualità di non fare sconti a nessuno, nemmeno a se stesso. Un invito questo, per tutti, ad andare a visitare il Museo di Bosco che, oltre al “Decalogo”, con cui il “pintor” intese ricordare al suo popolo i fondamenti della democrazia dopo la riconquistata libertà, ospita anche i dieci pannelli in cartapesta appartenenti ai cicli pittorici “Passarono” e “Morte e Nascita degli Innocenti”, le venti incisioni della suite dei Segadores, e le sessanta incisioni del ciclo “Ortega+/-Durer”, con cui l’autore si confronta con i temi del grande pittore tedesco, opere che sono un invito costante all’impegno civile.