Sabato due marzo alle ore 11 verrà presentato presso la libreria Imagine’s book di Salerno, il volume di Vincenzo Aversano “Canzona napulitana-Spiragli geo-artistici d’una civiltà glocale” – Edizioni Gutenberg
di ALFONSO MAURO
Risulta non facile fissare la specifica identità della canzone napoletana, perché essa è come un mare che ha ricevuto acqua da tanti fiumi. E’ figlia della poesia, come quasi tutti i canti di antica tradizione, e ha espresso, come le è universalmente riconosciuto i sentimenti, la storia e i costumi di un popolo. Il fatto singolare è che la canzone, “porosa” come la città – per dirla con la definizione che Benjamin coniò per Napoli -, ha assorbito tutto, riuscendo a rimanere in fondo se stessa. Malgrado sia stata contaminata, nel tempo, da sonorità appartenenti ad altre culture e ad altri generi musicali, la melodia napoletana è riuscita a conservare un suo codice di riconoscimento, un proprio DNA, quel “profumo”, che la rende inconfondibile, come una lingua perduta, della quale abbiamo forse dimenticato il senso e serbato soltanto l’armonia, una reminiscenza, la lingua di prima e forse anche la lingua di dopo.
Sabato due marzo alle ore 11 verrà presentato presso la libreria Imagine’s book di Salerno, il volume di Vincenzo Aversano “Canzona napulitana-Spiragli geo-artistici d’una civiltà glocale”, negli scaffali per le Edizioni Gutenberg. Vincenzo Aversano, già Ordinario di Geografia dell’Ateneo Salernitano nonché autore poliedrico e originale di numerosi volumi e saggi, nella sua ultima opera patrocinata dalla Società Salernitana di Storia Patria, dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi e dalla Provincia di Salerno, ne raccoglie diversi sul tema della canzone della città di Parthenope. Questo volume apre una prospettiva di apparentamento disciplinare tra Musica e Geografi, che a prima vista potrebbe sembrare eccentrica, ma che in realtà esprime una consanguineità scientifico-culturale dalle duplici radici, al contempo soggettive e oggettive: da un lato, la passione e la profonda conoscenza di Aversano nel campo della canzone napoletana, frutto di una frequentazione di un’intera vita; dall’altro, la reale necessità di una convergenza- in un territorio ideale fatto di luoghi, persone, costumi, arte ed emozioni- degli studi musicali e geografici, ai fini di una definizione il più esatta e concreta possibile di quanto, ormai universalmente, si usa qualificare come “paesaggio sonoro”, vale a dire quello spirito comunitario che, attraverso la musica, genere un ambiente unico e caratteristico, riflesso dell’anima e della quintessenza di una specifica cultura in un determinato momento storico. A parlarne con l’autore ci saranno Olga Chieffi, critico musicale ed Erminia Pellecchia, giornalista, moderati da Silvia Siniscalchi, docente dell’ateneo salernitano e pianista.
Delle geografie sensoriali si disegnano mappe, proprio come accade per i monti, i fiumi, le pianure. Ma è questa schizzata dalla canzone napoletana è una cartografia che sovverte le certezze, invece di fissare coordinate precise. Così, niente di più fluido ed evocativo di un paesaggio composto da musica, arte, letteratura, perché dai sensi trapelano storie, con la loro densità affettiva e la loro costitutiva eccedenza rispetto al tempo e ai luoghi. E niente di più vibrante di un corpo d’acqua sulle cui rotte avviene la diaspora di ritmi, melodie, vocalizzi, tonalità: il Mediterraneo di cui Napoli è sempre stato centro e sede di incroci sonori. “Un’infinità di tracce accolte senza beneficio di inventario”, direbbe Gramsci, lain Chambers, invece sa quanto sia destabilizzante inseguire le scie sonore di un archivio liquido e meticcio – il nostro mare, le sponde di tre continenti – e quanto il pensiero di terraferma abbia da guadagnare da un simile spaesamento. Nel paesaggio fisico come in quello umano, Napoli crocevia, Napoli eteroclita si presenterà nel nostro ricordo, nelle nostre ricerche come un’immagine coerente, un sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale.