La galleria salernitana Il Catalogo di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta, quale nuovo appuntamento della sua stagione espositiva, pone il proprio sguardo sul pittore ternano Carlo Quaglia, il cui segno si ricollega alla significativa esperienza della Scuola Romana. La mostra, che sarà inaugurata questa sera, alle ore 19, comprende un florilegio di opere tra olii e disegni, in cui il pittore ternano mette in luce alcune calde e brucianti memorie della città d’adozione Roma, con il motivo paesaggistico a far da giusto contrappeso al barocchismo dei monumenti, inclinando la tavolozza dell’artista verso la pennellata larga, in cui il colore gli si diffonde raffinato e vibrante. Il gesto di Quaglia che ci irretisce non trasale al rigo dell’epica o della retorica. In questo contesto e su questi presupposti, non può essere per il valore drammatico d’un presunto realismo, ne’ per le connotazioni o per valori plastici (peso e spessore), che il segno di questo artista si contraddistingue, non c’è neppure teatralità di colore-luce; ma esclusivamente per i valori d’introspezione psicologica; e qui la differenza non è data nella lontananza, che è poi comune, da suggestioni manieristiche e barocche (c’è una frontalità nella composizione di Quaglia che tiene lontani da rotazioni e contorsioni proprie del cinque-seicento), ma rispetto a un modo d’introspezione, che è soggettivamente “interiorizzato”. Cogliere la realtà nascosta puntando fortemente alla oggettività possibile dell’intimità delle cose, che, per tale via e con questa fede mimetica, acquista un forte potere accattivante.
Passioni, luce e colore vengono a connaturarsi alla materia dell’accadere e al segno che lo coglie: si piegano al contenuto, si offrono a generare il clima tematico. La materia, intesa come contenuto narrativo, anche dove si definisce con crudezza, sempre “umana”, perchè sottoposta a curiosa interrogazione, indagata, oggettivamente narrata. La plasticità, deriva dall’idea e dalla funzione che la materia assume nella composizione. L’identità del tema del ’corpo’ con quello della ’materia e della “sonorità” dei toni, della capacità dei segni di scrivere senza descrivere è la malleabile identità stessa del colore-luce con lo spazio contenuto- generatore della narrazione: il connaturamento del colore-luce al corpo-materia, alla sua plasticità decorativa e alla sua decoratività plastica. Sua la Roma calata nel rosso dei suoi tramonti, immersa in quel pulviscolo d’oro che rende di fuoco le antiche mura, vive nel contrasto con le masse scure degli alberi, come possiamo notare nel “Panorama dal Pincio” del 1963. Quaglia è l’artista che crede ancora nei valori tonali, nella delicatezza del rapporto coloristico, nell’andamento morbido e sensuale della pennellata che sfoca i contorni immergendoli nell’atmosfera che li contiene. Il pittore ternano procede per sintesi emozionali nell’ambito di precise conoscenze formali, e la contemporaneità viene da lui concepita come presenza in atto al centro di una situazione altrettanto in essere ma che guardi all’Uomo nella sua entità spirituale. Ecco allora, la solitudine dell’artista, il suo amore per una sorta di intimismo decadente, che tocchiamo con mano in particolare in un olio su faesite del 1965 “Tetti di Roma”, condotto sul filo della malinconia, talvolta struggente, sovente attivata in termine di conflittualità con lo spazio circostante. L’aggressività dei rossi scipioneschi assume in tal modo, spessore semantico se soprattutto posta in posizione dicotomica nei confronti di una tematica quale la costante degli angoli di una Roma pur presente ma irreale.
Quaglia non interpreta, rende immanente il trascendente fermando il palpito della vita in un fiore, in un timpano, in una scelta di luce. Verismo espressivo? Non può essere altrimenti per chi possiede le doti del taglio e dell’impostazione e s’addentra, con volontà di indagine, in particolari accentuazioni realistiche di forma. Ciò non vuol dire ridondanza, forse grandiosità che il senso scenografico dominante mantiene in armonica unità, e neppure sottile gioco di contrasti, dinamismo della figura generato dall’analisi più o meno approfondita dei particolari. E’ lo stile di Carlo Quaglia che cerca di emancipare la forma rendendola sempre più sintetica, con la spiritualità penetrante del poeta, il tedio doloroso, gli smarrimenti intellettuali di chi ha pensato e vissuto con il cuore il tempo della sua vita.