Domani presso gli spazi della Carpinelli Home, dalle ore 18 saranno in mostra gli ornamenti preziosi progettati da Paola Molinari e Nerella Apicella, ispirati al mito e alle geografie sensoriali del Mare Nostrum
di OLGA CHIEFFI
“Sempre il mare, uomo libero, amerai! Perché il mare è il tuo specchio; tu contempli nell’infinito svolgersi dell’onda l’anima tua, e un abisso è il tuo spirito non meno amaro”.Charles Baudelaire, L’uomo e il mare
Domani sera ci ritroveremo insieme a Paola Molinari, Nerella Apicella e Armando Cerzosimo a immaginare geografie sensoriali, a disegnare ideali mappe, guardando e interpretando i monili del progetto “Labyrinthi”, ispirati al mito e ai colori del Mare Nostrum, in esposizione presso gli spazi della Carpinelli Home. Una “cartografia” quella del binomio di artiste che sovvertirà le certezze, invece di fissare coordinate precise. Così niente di più fluido ed evocativo, di oggetti d’arte decostruiti e assemblati con materiali diversi, antichi, ceramica, rame, corallo, pelle, vetro di Murano, da cui trapelano storie con la loro densità affettiva e la loro costitutiva eccedenza, rispetto al tempo e ai luoghi. Niente è più vibrante di un corpo d’acqua sulle cui rotte è avvenuta la diaspora di suoni, cibi, colori, oggetti, segni e di-segni, il Mediterraneo, “un’infinità di tracce accolte senza beneficio di inventario”, direbbe Antonio Gramsci.
Paola e Nerella sanno bene quanto sia destabilizzante inseguire le scie del Mare Nostrum, un archivio liquido e meticcio, le sponde di tre continenti e quanto il pensiero di terraferma abbia da guadagnare da un simile spaesamento. Una delle infinite suggestioni di questi monili, infatti nasce da un’idea mai scontata di identità, di sensualità e di memoria che custodiscono e alle appartenenze che mettono in gioco. Il titolo scelto per il progetto, Labyrinthi, guarda alla complessa rischiosità del mondo, emblema della ricerca dell’infinito, che è propria dell’arte, oggetti compositi che designano i limiti di una modernità che è stata generalmente incapace e refrattaria a rispondere a traiettorie molteplici e che ha optato, invece per una narrativa univoca. Ci ritroviamo tra questi monili nell’ambito di una storia mutevole delle forme tracciate nel contempo attraverso memorie, temporalità e affettività diverse. In questo labirinto di sensibilità e suggestioni che dispiegano la densità della vita, si è perduto anche Armando Cerzosimo “Una esperienza – ha rivelato il fotografo – sicuramente emozionale rapportarmi con le creazioni di Paola e Nerella. Creare la “connessione” tra me, la mia Hasselblad e i gioielli. Prima ancora di fotografare è stato duro esercizio intuire la profondità del pensiero delle artiste, prima ancora di allestire il set fotografico. L’ idea dell’uomo che sorregge il vortice dei suoi reconditi pensieri, illusioni e sogni è molto interessante ed onirica.
Lavorare, approfondire, confrontarsi con queste opere è stato per me ed il mio studio un altro passo avanti per accrescere la formazione di fotografi”. “Ah, tutto è simbolo e analogia!/Il vento che passa, la notte che rinfresca/sono tutt’altro che la notte e il vento:/ombre di vita e di pensiero./ Tutto ciò che vediamo è qualcos’ altro/ l’ampia marea, la marea ansiosa, / è l’eco di un’altra marea che sta laddove è reale il mondo che esiste”. Pessoa nel suo Faust s’interroga, come Paola, Nerella e Armando, su quali siano i luoghi, le figure, le forme, i miti , le metafore in cui ritrovarsi nell’epoca della fine della modernità, cosa possa significare oggi produrre, inventare, creare. Il telos per noi tutti da perseguire si configura in quella ostinata armonia in cui tutto, come un vortice è continuamente chiamato in questione, in cui accanto agli artisti giochiamo una partita che sappiamo perduta in partenza, poiché nella nostra anima c’è un’incrinatura ed è il suono che essa dà quando si riesce a toccarla, un suono altro, come il silenzio del mare che è un’apparenza, continuo, perpetuo, contraddittorio, turbolento, come i monili di Labyrinthi.