Successo per il nuovo spettacolo di Vanni Avallone, che ha visto sul palcoscenico del Teatro del Giullare, alternarsi sotto i riflettori, lo stesso regista e autore, la figlia Antonia, Concita De Luca, Ciro Marigliano, Fiorenzo Pierro, Lucia Falciato,Marco Ciullo, Roberto De Angelis
di GEMMA CRISCUOLI
La parola dell’arte non è mai innocua : apre squarci inattesi, capovolge prospettive, amplia a dismisura suggestioni e inquietudini e trova nella musica la propria migliore alleata. Ne è ben consapevole Vanni Avallone, attento regista e interprete di “Lettera amirosa”, in programma presso il Piccolo Teatro del Giullare fino al prossimo finesettimana. Lo spettacolo propone alcuni monologhi intervallati dalla raffinata fisarmonica di Francesco Citera, strumento che diviene, a tutti gli effetti, un personaggio per il potere evocativo dei brani scelti. A unire questi ultimi, il rapporto con il tempo e con il proprio posto nel mondo. “Il poeta non chiede benevolenza, ma attenzione”, ricorda, nell’incipit de “La calzolaia ammirevole” di Lorca, Avallone, impegnato ne “I desideri” di Roberto Bracco e nella conclusione della messinscena con la deliziosa missiva di Di Giacomo ricordata nel titolo, cingendo così, in un ideale abbraccio, il suo appassionato cast. Concita De Luca si conferma interprete brillante nel dialogo di Celimene, tratto da Moliere, in cui si risponde per le rime a un’insopportabile moralista, così come in “Ti amo, ma”, dove l’oggetto d’amore deve avere il buon gusto di non disturbare, ma sa toccare efficacemente anche corde dolorose, come in “Quelle come me “ di Alda Merini.
Antonia Avallone dà prova di notevole versatilità nel drammatico monologo eduardiano di Chiarina, prigioniera di circostanze opprimenti, in “Mio caro amato” di Valentin, dove le mancate lettere dell’innamorato sono oggetto di comico struggimento, ne “La presidentessa” di Benni, tutta cinismo e apparenza e in “Un tempo sarebbe stato facile amarmi” di Marquez, intenso percorso verso l’autodeterminazione. L’approccio straniante alle cose è affidato a Fiorenzo Pierro, che, in “Ascendente pesci”, si interroga sulle assurdità dell’oroscopo e in “Storie dello zoo” di Albee narra quanto sia difficile stabilire un contatto, sia pur solo con un animale.
+Lucia Falciato dedica le proprie energie alle cupe atmosfere de “La signorina Giulia” di Strindberg e della Medea di Euripide, ma anche a “Mi guardo attorno”, il momento in cui ci si ritrova del tutto estranei a un contesto. Ciro Marigliano si destreggia tra l’incoraggiamento a respirare ogni attimo in “Nessun ma” e l’ironia del monologo del caffè di “Questi fantasmi”. In “Ti auguro tempo” di Michler, Marco Ciullo invita a recuperare la dimensione soggettiva dello scorrere delle ore. Con Roberto de Angelis, il monologo di Alice di Lella Costa fa della temporalità un arcobaleno di possibilità e allo stesso interprete spetta “Storia di due”, il difficile cammino di un individuo deciso a difendere la propria identità e significativamente aiutato da Avallone ad alzarsi, dopo essere stato bersaglio di haters : il teatro, infatti, sa sempre da quale parte schierarsi. Avvalendosi di una calibrata selezione di pezzi (Tango pour Claude, Que reste-t-il de nos amours, Oblivion, Por una cabeza, Dieci frammenti animati, No war milonga), Citera conferisce spessore alle atmosfere create dagli attori con una sonorità seducente, capace di reinventare le coordinate dello spettacolo, unendo dedizione ed estro per mezzo di un virtuosismo mai autoreferenziale. Degna di nota la scenografia di Paola Molinari, impreziosita dalle luci di Virna Prescenzo, in cui maschere in gabbia, sul seggio al centro del palco e su oggetti dalla morbida circolarità alludono al varco che la scena deve sondare per giungere a quel che può somigliare alla verità. Da una macchina da scrivere, si innalzano rami spogli, ma, come l’inverno è vita dormiente, così le parole attendono di fiorire in chi sappia ascoltarle.