Vince grazie alla recitazione magistrale degli interpreti la piéce “Il silenzio grande” scritta da Maurizio De Giovanni per la regia di Alessandro Gassmann.
di OLGA CHIEFFI
Buon concorso di pubblico, giovedì sera, al Teatro Verdi di Salerno, dove è andata in scena la ripresa dello spettacolo “Il silenzio grande” un testo di Maurizio De Giovanni, per la regia di Alessandro Gassmann, dopo il film uscito nelle sale a metà settembre. Villa Primic a getto sul golfo di Napoli, simbolo dell’alta borghesia napoletana, il suo cuore una biblioteca ordinata “a vista”, ovvero emozionalmente, secondo l’idea del suo sacerdote, Valerio Primic, scrittore pluripremiato, adorato dal suo pubblico, magistralmente interpretato da Massimiliano Gallo, al quale però è si è disseccata la vena creativa. Notti intere su di un foglio resta inesorabilmente vergine, il consulto dei testi, la radio, un po’ di movimento sul vecchio “vogatore” e le tazze di caffè portate dalla cara domestica “Bettina”, una perfetta Antonella Morea, che ricordiamo anche nel ruolo di Rosalia, nella Filumena Marturano con Luca De Filippo protagonista nel nostro massimo, in attesa che ritorni l’estro. Intanto, in quella casa, tutto sta precipitando finanziariamente e la signora Rose Primic, una convincente Stefania Rocca decide di vendere la casa, naturalmente contro il volere di Valerio e dell’affezionata domestica. Cosa racchiudono quelle mura? Un mondo, un vissuto in cui, uno alla volta, i componenti della famiglia si raccontano, si confessano, confrontano, litigano, ridono, immaginano, si immalinconiscono dando spazio a momenti di comicità che rappresenta il tratto della grande tradizione del teatro di Napoli. I due figli Adele (Paola Senatore) e Massimiliano (Jacopo Sorbini), sempre oppressi dal confronto col padre, di essere “Figli di….” confessano l’una di essere incinta di un notabile e anziano professore universitario e critico letterario sposato, l’altro si dichiara omosessuale e dopo una vita dedita allo studio delle lettere, senza alcuno sbocco professionale, decide di rilevare un teatro, con i proventi della grande vendita dell’immobile grazie ai “consigli” e alle “attenzioni” del commercialista di famiglia nei confronti di Rose. Devianze e convergenze dovute a questo “silenzio grande”, fatto di “tanti piccoli silenzi”, di mondi che non si incontrano più, poiché le lingue si sono imbrugliate, direbbe Eduardo.
Voci diverse tra loro in cui i linguaggi possono articolarsi scontrarsi anche in forme negate al linguaggio verbale. Ognuno ha una possibilità, ognuno può inseguire la propria “voce”. Le voci nate dal silenzio non possono che rinascere nel silenzio, con temi universali che passano per l’incomunicabilità tra il linguaggio del sogno, della fantasia e quello duro della realtà, il dramma del passaggio, la relazione del mondo circostante con quello dell’Io, le presenze, semi che ritroviamo per interi nelle opere eduardiane de’ “Le voci di dentro” e “Questi fantasmi”. I fantasmi si rivelano: Valerio Primic è morto abbattendosi sulla macchina da scrivere, dopo una vita di silenzi, lavoro e imposizioni, Bettina lo ha seguito due anni dopo: non solo casa Primic, è alla deriva nella precarietà della vita, ma nel finale viene sottolineato il clima realistico che scaturisce dal contrasto fra il crepuscolarismo e la vita stessa. “Il silenzio grande” resta anche una “indagine” sul senso dell’esilio.
Si può essere esiliati in due modi: geograficamente, oppure con una sorta di isolamento proprio dove si vive perché si vuole un’esistenza quotidiana che non è possibile avere. Non bisogna esser schiavi delle proprie tradizioni, della passione dei propri remoti sentieri, dei propri amati spazi, è necessario aprire i cassetti, lasciar andare i ricordi le emozioni, in modo che possano vivere per sempre. Ma De Giovanni resta un figlio del Sud, un figlio dell’ombra, dell’oscurità, dell’assenza-presenza, ritornerà sempre per prendersi cura di una nascita, tra segreti da mantenere e incognite da dissolvere. Finale ridondante con il sogno di Rose del ballo del suo matrimonio. Bastava che la radio si fosse riaccessa inspiegabilmente per un’ultima volta, magari sulle note di “Silenzio cantatore”, per non cadere nella melensaggine ghost di turno.
Caldo abbraccio del pubblico per gli attori, tutti protagonisti, omaggiati del plauso anche a scena aperta e un urlo di ringraziamento di Massimiliano Gallo a tutti, per questo partecipato, agognato, ritorno in teatro. Per quelle strane coincidenze, a cui noi figli de’ “la terre des morts”, crediamo, da sempre, la notizia ferale della scomparsa di Sandro Nisivoccia è giunta nel momento in cui si levava il sipario del teatro del Verdi, su di una piéce diretta dal figlio del suo amato Vittorio Gassmann, evocante proprio che la morte è il risveglio finale, che ci libera dall’angoscia di una società in crisi, della realtà illusoria che ci avvolge.