E’ scomparso nella mattinata di ieri, il regista, il Maestro, l’uomo che ha firmato l’intera era Oren salernitana, avrebbe dovuto dirigere Pagliacci nella ripresa autunnale della stagione lirica
di OLGA CHIEFFI
Nella mattinata di ieri è mancato fisicamente ai vivi il regista Renzo Giacchieri. Dirigente RAI per i programmi di musica e teatro, Docente presso il Conservatorio di Santa Cecilia, già sovrintendente dell’Ente Lirico Arena di Verona, Direttore del Festival Pucciniano di Torre del Lago, sovrintendente presso il Teatro San Carlo di Napoli. Una carriera costellata di magnifici successi e riconoscimenti, che con l’era Oren ha toccato di anno in anno anche il teatro Verdi di Salerno. Ricordiamo diverse perle, la Lucia di Lammermoor del 2011, la Manon Lescaut del 2014, e ancora un Nabucco nel 2013, la Francesca da Rimini di Zandonai. Il suo nome resta legato, nella mia memoria, alla Tosca del 2016 con Fiorenza Cedolins la diva all’italiana e lo charme dello Scarpia di Ambrogio Maestri, stagliarsi in quel cielo, in cui la luce delle stelle s’incenerisce e apre allo sconsolato Malessere del secolo.“Tradizione non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco” il motto di Gustav Mahler, ha sempre guidato le produzioni del regista Renzo Giacchieri: omaggiare la tradizione non è “chinare il capo al passato”, non è lasciare alle “ceneri del ricordo” il compito di portare fino a noi le immagini di un tempo ormai andato. Omaggiare la tradizione è ben altro: è mantenere vivo quel “fuoco” che brucia nei solchi lasciati dalle vite di chi abita questa terra, alimentarlo con storie evocative ed emozioni travolgenti. Ecco che nasce la necessità di costruire una custodia, dove non si opprime la sua fiamma ma la si plasma, la si lascia ardere fiera seppur in balia del nostro volere.
Il Maestro Daniel Oren che abbiamo raggiunto all’ Opéra Royal de Wallonie a Liegi ove sta provando “I Lombardi alla Prima Crociata”, prima di tornare a Salerno, proprio per la Tosca è affranto per la perdita dell’amico che gli voleva bene e per il carismatico regista. “Renzo è stato il primo sovrintendente che mi ha aperto le porte dell’Arena di Verona, affidandomi il podio nel luglio del 1984, di una mega produzione di Tosca con protagonista Shirley Verrett, Eva Marton, immensa. E poi un superbo Giacomo Aragall, carismatico e amatissimo e lo Scarpia di Ingvar Wixell e Mariotti come sacrestano, grande cast e grande regia e da quell’anno sono sempre tornato in Arena e ne sono orgogliosissimo. Lì ho conosciuto Renzo, un uomo di grandissima cultura, ottimo sovrintendente, uno che si poteva anche temerlo e lo temevamo tutti. Ricordo che ogni recita stava vicino all’uscita del direttore d’orchestra, tutte le sere, dalla prima all’ultima nota. Non è che si tenda a dare il meglio di sé se si ha il fiato sul collo di un capo, ma la sua presenza era carismatica e si provava ad andare veramente oltre. Tante altre cose abbiamo fatto insieme, grandi produzioni come in Don Carlos al San Carlo con Renato Bruson, ancora Aragall, al quale bisognava dar sempre coraggio, coccolarlo, Ghena Dimitrova, Nicola Ghiuselev e Giovanna Casolla Sempre a Salerno, con me poiché lo stimavo moltissimo, poiché sapevo esattamente quale sarebbe stato il risultato finale, ovvero, la qualità delle scene, l’estetica, la bellezza, la cura, rispetto per la musica e del direttore d’orchestra, perchè lui amava tutto del teatro e per chi lo fa, i cantanti, la musica, l’orchestra. Ci telefonavamo tutti i giorni poiché con Renzo era bello far spaziare il discorso su ogni tema, vista la sua straordinaria cultura.
L’ictus, il coma, poi il miracolo del risveglio e il precipizio finale. Una vita spesa per la famiglia del fratello dopo la sua morte, con grandissima dedizione. Anche questo era Renzo. Ai suoi familiari l’augurio di non provare mai più nella loro vita un così tal dolore”. Riccardo Canessa è stato suo assistente alla regia all’arena di Verona. “Ho cominciato nel 1998 il sovrintendente era il Maestro De Bosio ma dopo qualche settimana il Maestro Giacchieri. Renzo Giacchieri aveva quel piglio vecchio stampo da grande artista ed eccezionale manager. Tutti tremavamo, poiché era sempre presente, girava negli arcovoli, vigile e attento. Fu lui ad affidarmi la mia prima opera da regista al Filarmonico, un Elisir d’amore che ho fatto per ben tre volte, dimostrando che questa sua severità si tramutò in un riconoscimento per un allievo forgiato da lui. Lui mi ha lasciato e mi lascia il teatro “di una volta”, ovvero il teatro dove contava il saper fare e la meritocrazia. Il ritrovarlo a Salerno è stato sempre un momento foriero di memoria e insegnamenti. Renzo è l’immagine di colui il quale faceva il suo lavoro con passione ma anche con quella freddezza di chi è veramente un teatrante di razza”.
In qualità di direttore del Festival Pucciniano, il ricordo di Giacchieri ci giunge dal soprano Donata D’Annunzio Lombardi, dal quale è stata diretta più volte e, in particolare, per una indimenticabile Butterfly. “Improvvisamente – racconta Donata – dava il giusto consiglio per quel momento, la misura del gesto per quell’espressione drammaturgica. Noi cantanti siamo sempre molto soli, invece con lui ti sentivi sicuro proprio per la sua grande cultura, che lo portava ad essere molto riservato e attento sul lavoro, bastava una parola, un movimento scenografico di estrema raffinatezza alle spalle per farti magicamente sentire parte del suo progetto. Ci lascia un grande generoso maestro di stampo tradizionale ma aperto ad ogni input, naturalmente, capace di coniugare passato, presente e futuro”. Una bacchetta formatasi a Torre del Lago è certamente quella del giovane Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli: “Ero al Festival per la produzione Puccini in Jazz con Cinzia Tedesco, purtroppo, personalmente non ho mai lavorato con lui, e il maestro Renzo Giacchieri firmò la regia de’ La Fanciulla del West. Lì le scene e scelte registiche furono di un gusto e di uno scavo psicologico che andarono ben oltre l’esecuzione. Grande è il rammarico di non poter potuto “vivere” un’opera con lui”. La direzione del nostro teatro lo ricorda come parte della grande famiglia del massimo salernitano, la serietà e la comprensione con i macchinisti, così come la generosità dell’ uomo nel ricordo di Francesco Boccia, al quale affidò le coreografie di Lucia di Lammermoor e di Pina Testa che sotto la sua sovrintendenza, divenne prima ballerina al teatro di San Carlo. Una perdita immensa pensando anche alla sua regia in cartellone per Pagliacci in ottobre. Il suo segno è indelebile “Dov’è più nero il lutto, ivi è più flagrante la luce” (Gesualdo Bufalino da “La luce e il lutto”).