Domani sera, appuntamento alle ore 18,30 sul piazzale della stazione ferroviaria di Vietri sul Mare per la grande festa dei ceramisti, la benedizione della vampa, cottura dei pezzi col fuoco santo, degustazione dei piatti tipici e, naturalmente, la musica popolare
di OLGA CHIEFFI
Nella notte del 17 gennaio, Vietri Sul mare si trasforma in onore di Sant’Antonio Abate nella Città del Fuoco e dei ceramisti. Nel piazzale della stazione, alle ore 18,30 si riaprirà domani, il grande libro della vita, della morte e dell’universo che ci circonda, leggibile coerentemente secondo il linguaggio codificato dell’immaginario collettivo. È in questa giornata, senza dubbio che il nascosto chiede con maggiore insistenza e, da più tempo, di farsi luce, ed è qui che può diventare più poroso e friabile il muro che divide il “sopra” e il “sotto”, l’ “al di qua” e l’”al di là”, l’arcaico e il presente, l’immaginario e il reale, in uno psicodramma che, nei secoli, è riuscito a penetrare la cultura e il suolo. Una festa questa, voluta fortemente dal Sindaco della porta della Divina, Giovanni De Simone, e dal suo giovane assessore alla cultura Daniele Benincasa, che accoglieranno con un gran falò i visitatori che intenderanno far festa con loro, mangiafuoco per le 19,30 e l’annullo filatelico per questa occasione, con cartoline artistiche. C’è un adagio che recita: “L’Epifania, tutte le feste le porta via, ma Sant’Antonino le riavvia”. S. Antuono, infatti, segna nel calendario popolare il principio del Carnevale, ovvero di quel periodo rituale, circoscritto nel tempo, durante il quale si forma una comunità metastorica a carattere provvisorio, che vive un aspetto di ribellione alla propria condizione sociale, riflettendo aspetti rituali arcaici, legati nel passato a rituali agricoli di propiziazione del raccolto e di eliminazione del male. S.Antuono è ritenuto, infatti, anche il patrono del fuoco. Pare che egli sia disceso all’Inferno, dal quale abbia tratto un po’ di fuoco, di nascosto del diavolo, novello Prometeo, per cui, la notte del 17, in sua venerazione si accendono grossi falò. Il materiale si va raccogliendo un po’ dappertutto, e domani notte l’appuntamento sarà a Vietri, dove festeggeremo insieme ai ceramisti. Una festa, che significa ogni anno, scatenare le forze positive e, grazie all’elemento apotropaico del fuoco, sconfiggere il male e le malattie sempre in agguato, ma anche pensare alla scintilla creativa dell’arte. A Vietri il fuoco iniziatico delle fucine raku, terrà a battesimo il nuovo anno e l’anno agrario. Venti minuti per la monocottura di una forma che uscirà modellata e colorata, composta di un mix di argilla, polvere refrattaria, impastata, e smaltata con colori ossidi di metalli e fondenti, maggiormente sensibili alle variazioni in riduzione e ossidazione, talismani di piccole ebbrezze dono dei nostri amici artisti ceramisti. Si proseguirà, indi, con il Cravon fire, una esibizione estremamente spettacolare e pirotecnica che vede l’artista far roteare intorno a sé dei carboni ardenti che, racchiusi in una piccola gabbia faranno cuocere per ossigenazione il manufatto ceramico. Ancora, poi, si darà al pubblico qualche saggio della cottura primitiva, ovvero la pit firing pottery, che vuol dire: vasellame cotto a buca, quel sistema che utilizzavano gli uomini primitivi per cuocere la ceramica, circa trentamila anni fa: il risultato che si ottiene è una affumicatura spesso disomogenea del pezzo, poiché il fuoco della legna non è mai del tutto controllato. Non mancherà nemmeno il ciuccio sputafuoco, animale citato nella “Legenda aurea” di Jacopo da Varagine, per dar vita al falò, nel quale verranno gettate le ghirlande augurali, le scope, il vischio, che hanno adornato le case durante le feste natalizie, preservando le famiglie dagli spiriti malvagi, dal diavolo che si è aggirato, seppur sconfitto dal Bambinello nelle nostre case. Spiriti bruciati e anime del Purgatorio, le anime pezzentelle che hanno preso il posto del Bambin Gesù nei nostri presepi, che dal 18, potranno essere finalmente smontati o coperti, le quali ritorneranno a scontare la pena. Non c’è festa senza musica e senza cibo, e ricordiamo a tal proposito l’adagio “A Sant’Antuono Maschere e suoni”, che segna l’inizio del periodo carnascialesco, nonché il santo quale guaritore dell’Herpes Zoster, ovvero del fuoco di Sant’Antuono, che porta a ballare , a muoversi per il dolore. Danze e balli intorno alla vampa, tra i banchi di degustazione, saranno scanditi da “I figli del Vesuvio” nome assunto per il loro essere esplosivi, passionali nella riscoperta delle tradizioni folkloriche della propria terra. Musica che non è un prodotto dell’Uomo, non è creazione nel senso consueto del termine, ma che essa stessa sta nell’uomo, è la sua stessa vita, è il ritmo interiore ed esteriore che regola il suo comportamento, è la legge liberamente assunta che modula dall’interno ogni sua ora, è il tempo che prende forma e che non viene lasciato, così, fluire senza argini, come acqua su pietra. La melodia rappresenterà, così l’estremo tentativo umano di catturare l’uniformità del tempo nel suo scorrere ineluttabile e disperante, di piegarlo alla sua volontà creatrice, costringendolo in ritmi che esprimano le scansioni interiori della vita stessa. Non mancheranno botte e fuochi a sorpresa essendo Sant’Antuono protettore dei fuochisti.