Wagner, Bellini, Verdi e Bizet, gli autori scelti dal Maestro Daniel Oren per attraversare il 2025 lirico. Cinque titoli prodotti dal teatro, più la chicca del Conservatorio “G.Martucci”, che ha scelto l’omaggio a Nino Rota, con “Il cappello di paglia di Firenze”
Niente di più attuale del Wagner del Ring, che propugna il ripudio e la ribellione dell’umanità alla servitù dell’oro, inaugurerà l’11 aprile il cartellone lirico del teatro Verdi, ospitando una produzione al gran completo tra scene, coro e orchestra dell’Opera di Sofia, per la rappresentazione di Die Walküre. Come dire, un piú alto livello morale, ed un piú eletto grado di civiltà. La nausea del mondo, come lo vedeva, Wagner l’aveva manifestata, insieme col desiderio d’amore, al tempo di Tannhäuser: “La mia vera natura, scriveva, che si ribellava nauseata davanti al mondo moderno e si volgeva tutta ad un mondo piú nobile, abbracciava in una stretta appassionata le forme più estreme del mio essere che sboccavano in una sola direzione: un altissimo desiderio d’amore”. Amore propriamente detto, l’amore sensuale e la conseguente soggezione all’oggetto di tale sentimento e all’eterno femminino, mèta suprema dello spirito vitale di conquista e di possesso dell’uomo: “La piú alta soddisfazione, scrive Wagner a Roeckel, la più alta espressione dell’individuo è l’assorbimento completo, che è possibile solo nell’amore. Ora, l’essere completo è uomo e donna: non può quindi esistere se non quando uomo e donna si uniscano in un essere solo; ed è solo con l’amore che uomo e donna raggiungono la plenitudine completa, la concezione di una cosa piú alta della sua propria essenza, l’atto supremo della sua vita è questa realizzazione della sua umanità per mezzo dell’amore”. A dispetto di tutte le epiche “cavalcate” rese celebri anche dal film di Francis Ford Coppola, “Die Walküre” ruota interamente intorno a due temi: l’amore ed il Destino. La mitografia wagneriana ha spesso dimenticato, in nome di una “purezza” di concezione tutta germanica, che dietro i significati simbolici, stratificati e plurivalenti, come si diceva un tempo, c’è per l’uomo e per il compositore Wagner il desiderio di narrare una storia che, beethovenianamente, arrivi “dal cuore ai cuori”. Il 25 aprile, ritorna Gilda Fiume per dar la voce alla sacerdotessa dei Druidi, Norma, che già interpetrò nel 2017 con gran successo di critica, nel suo bruciante monoprotagonismo che annulla ogni virtuale antagonista, già che ciascuno dei personaggi si trova ad agire sotto la sfera d’influenza della sacerdotessa spergiura e vive di luce riflessa, non riuscendo ad attestare in proprio simile forza musicale e drammatica. All’orchestra il compito di sottolineare il sodalizio e la frattura insieme tra accademia neoclassica e ansia di forare, romanticamente, la volta di quel microcosmo sull’aire di un sospiro notturno, affidato al flauto. A fine maggio, con Daniel Oren, torna il buffone gobbo, Rigoletto triste, rancoroso e provocatore, ma dolorosamente afflitto, perché segnato dalla natura, il diverso, il refuse, dipinto da Verdi in tutto lo spessore tragico della sua condizione umana, rappresenta una vistosa eccezione nel panorama operistico dell’epoca, da cui muove il rinnovamento operato dalla drammaturgia verdiana intorno a convenzioni radicate, che sancisce la nascita di una nuova voce per il melodramma italiano, quella “spinta” del baritono. Pausa estiva e la ripresa autunnale è affidata al Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, che si cimenterà, anche in vista del LXX anniversario della sua composizione, con “Il cappello di paglia di Firenze” di Nino Rota. Una farsa musicale, rappresentata al Verdi già nel 2004, in cui si racconta la divertente vicenda, descritta come una frenetica giornata di inseguimenti, del povero Fadinard, alla ricerca del fatidico copricapo, divorato dal suo cavallo, che può evitare scandalosi equivoci e consentirgli di sposare la sua Elena. Tanta voglia di scherzare, da parte del regista Riccardo Canessa, già “un vulcano la sua mente”, per citare Rossini, in modo raffinato, stesso brio spiritoso, mentre nella buca pronto a sottolineare suggestioni e atmosfere da film e citazioni ad ampio spettro da Mozart a Bernstein passando da Wagner, si fa il nome del Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli. A novembre, un colpo di piatti darà inizio ad “Uno straordinario baccano da circo”: così definiva Nietzsche l’inizio del preludio al primo atto di “Carmen” – il cosiddetto tema della corrida, col suo irrompere, creato dal nulla, in un fortissimo capace di intimare perentoriamente all’ascoltatore, ancora titubante, che non può più permettersi, cominciato il rito, di volgere altrove la propria attenzione. Ancora una volta, nessuno potrà sottrarsi al sortilegio di Carmen “Si avvicinerà leggera, morbida, con cortesia, con la sua serenità africana. La sua felicità è breve, improvvisa, senza remissione – scrive ancora Nietzesche – L’amore vissuto come fatum, come fatalità, cinico, innocente, crudele”. Un canto esotico, inedito, riferito con la disinvoltura di un resoconto di viaggio accompagnerà una tragedia che si consumerà sullo sfondo di una corrida, in pieno sole, dove la morte non ha dove nascondersi. Finale di stagione sulle note del Nabucco. E’questa un’opera che Daniel Oren “sente” con tutto se stesso e cerca di offrirne sempre una linea di lettura fortemente ritmata, esasperando i contrasti, in cui invita l’orchestra a seguire la parola. Una parola che qui si fa di-segno, progetto, per un futuro, in cui le arti non possono e non devono essere messe in un angolo. Nabucco è l’opera del “Va’, pensiero, sull’ ali dorate; va’, ti posa sui clivi, sui colli, ove olezzano tepide e molli l’aure dolci del suolo natal!”, il più famoso coro del melodramma italiano, col suo salto musicale di ottava su “ali”, come a spiccare idealmente il volo verso una libertà agognata, un diritto umano (“chi è libero di pensiero è già libero nello spirito” diceva un noto rivoluzionario), un coro semplice, ad una voce (…né poteva essere altrimenti), che tutti noi potremmo anche cantare insieme ai maestri. Immaginiamo che il nostro direttore artistico l’abbia scelto per il suo messaggio di libertà, liberazione che si ripercuote sui destini di entrambi i popoli che si fronteggiano. Folle vibranti di questo “popol di Giuda”, che grida, che impreca, che trepida per la propria sorte, che interpella i propri capi, Zaccaria e Ismaele, e dialoga con loro in una specie di gran comizio musicale. La coralità fluisce come una fiumana e impone alla musica norma e forma: c’è poco posto per i problemi di aria e recitativo, là dove l’espressione collettiva straripa e invade ogni angolo dell’opera, e la simulazione teatrale d’una liturgia recupera i valori antichi della musica sacra, iniettandogli il pungolo della tensione drammatica.



